Come nasce #UnMuroperSofia

- Guido De Barros
Come nasce un’idea? Spesso è frutto di un’intuizione; un lampo che accende la mente e mette a sistema pensieri, bisogni e azioni come le note in un pentagramma che compone la melodia desiderata.
Le idee possono essere un processo immediato, oppure restare incubate nella testa per anni, aspettando un elemento chiave per trasformarle in un progetto concreto. Così è accaduto per la Campagna #UnMuroperSofia : un’idea che nasce dalla volontà di vivere la sofferenza senza mai negarla, distillandola negli anni fino a convertirla in bene, grazie alla potente alchimia dell’amore e della speranza.
Spedali Civili di Brescia, aprile 2013. Erano i giorni in cui l’empatia suscitata dalle storie dei “bambini farfalla” era sentita dagli italiani più forte dello scandalo scientifico-sanitario che divampava fra Spedali Civili, Ministero e aule di Tribunale.
Gli italiani conoscevano ancora poco di Stamina e di staminali, tranne il fatto che era una terapia “compassionevole”, rivolta a pazienti affetti da patologie inguaribili, ufficialmente somministrata in un ospedale pubblico e che fra i pochi pazienti allora trattati, tutti egualmente gravissimi ed orfani di cure, c’erano bambini e adulti, tra cui dirigenti della sanità lombarda e parenti di dirigenti degli stessi Spedali Civili.
Anche Sofia era arrivata Brescia per aspirare allo stesso trattamento dopo la sentenza vittoriosa al tribunale di Livorno.
Avevamo trovato alloggio in un residence a poche centinaia di metri dall’ingresso dell’ospedale dove a turno io e Caterina tornavamo per dormire qualche ora.
Di quei giorni ricordo vivido lo spavento, l’angoscia e la rabbia. L’ospedale era un campo di battaglia, noi contro tutti: eravamo visti come un virus maligno inoculato direttamente nel sistema immunitario dell’ospedale.
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Sofia stava male, era in netta picchiata, ma questo sembrava secondario rispetto al “disagio” che causavamo.
Il processo neurodegenerativo che l’aveva già resa cieca e paralizzata, la stava spingendo verso la disfagia, oltre alle crisi di vomito e spasmi che non le davano tregua e deformavano il suo corpicino.
Giorni tosti quelli… terribili, assurdi!
Dato che non potevano stare in due con Sofia, ogni notte io o Caterina, a seconda del turno,  tornavamo esausti al residence. Lungo il percorso mi ricordo le soste davanti alla statua della madonna dell’istituto delle Ancelle della Carità. Davanti a quella nicchia celeste illuminata a neon, abbiamo dedicato preghiere intensissime, che ci riportavano al Prodbrdo di Medjugorje scalato tante volte con Sofia in collo.
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Arrivati al residence, il tempo di crollare a letto e… basta!
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Una fredda mattina, ritornando da Cate e Sofia, scelgo il marciapiedi lungo il muro degli Spedali Civili. A metà strada noto una macchia rossa e nera che violava il bianco di quell’imponente muro appena intonacato. Avvicinandomi noto che quella macchia era un graffito che raffigurava una bambina di spalle nell’atto di scrivere in rosso la frase “Aiutate Sofia”…
Quel piccolo gesto di solidarietà spontanea e originale ci ha segnati profondamente: sapere che la fuori c’era qualcuno così motivato da imbarcarsi nella notte in un’azione così azzardata, ci ha sorpresi, commosso e dato forza.
Ho pensato che quel gesto nel suo piccolo era stato geniale perché aveva conseguito il triplice scopo di esprimere solidarietà a Sofia, di lanciare un monito alle istituzioni e di coinvolgere l’intera cittadinanza.
Quel piccolo graffito riuscì anche a fare notizia; all’indomani della sua creazione infatti, l’accaduto fu commetato in un trafiletto sul Giornale di Brescia.
Nell’arco di un paio di giorni tuttavia, il graffito è stato cancellato inquanto ritenuto atto vandalico, per noi invece, è sempre rimasto li, come una bandiera mai ammainata.
Tenendo fede ad una promessa fatta allora a Sofia e a noi stessi, siamo andati avanti oltre quel muro e marciapiede, fondando Voa Voa Onlus e dando forma insieme a tanti amici conosciuti per strada ad un sogno.
In tutti questi anni mi sono sempre chiesto come avrei potuto rievocare quel gesto affinchè anche altre famiglie che affrontano una malattia rara inguaribile diagnosticata ad un figlio, affacciandosi dalla finestra o passeggiando per strada potessero essere colti dalla stessa emozione e consolazione.
Ecco come nasce la campagna #UnMuroperSofia che vuole dedicare un messaggio di “agguerrita speranza” a tutti i genitori caregivers di bambini condannati da una malattia inguaribile gravissima.
La nostra Campagna infatti, va ben oltre al segno grafico.
Attraverso la forza espressiva della street art che spesso veicola messaggi di disagio e protesta, la bambina che scrive sul muro sostituisce la frase “aiutate Sofia ” con una frase, un motto, un monito rivolto a tutti: ” Rari non invisibili”
Con il nostro stencil murale, vogliamo raccontare una storia di resilienza e speranza in cui si compie un’imprevedibile alchimia.
Per ben cinque anni siamo cresciuti insieme a quella bambina entrata nelle nostre vite come segno di solidarietà cancellato dalle autorità in quanto considerato all’epoca un gesto di anarchia e degrado urbano.
Oggi #UnMuroperSofia riprende quel gesto di solidarietà mai dimenticato per rilanciarlo con forza sui muri donati a Voa Voa dalle stesse istituzioni comunali, municipali e di quartiere che aderendo alla Campagna di Sensibilizzazione, riconoscono la difficile condizione delle famiglie con bambini #rarinoninvisibili e si fanno promotori degli stessi valori umani e solidaristici che animano la nostra Causa.
Dal sodalizio fra cittadinanza, istiuzioni e associazionismo riusciamo a costruire scenari imprevedibili, complice una Causa valida, una buona storia da raccontare, un sogno da vivere e la volontà di non arrendersi mai.
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