Voa Voa Aps https://www.voavoa.org/ Credere, Amare, Resistere Sun, 26 Nov 2023 07:39:18 +0000 it-IT hourly 1 https://www.voavoa.org/cms/wp-content/uploads/cropped-una-faccia-fucsia-32x32.png Voa Voa Aps https://www.voavoa.org/ 32 32 La primavera di Voa Voa! Sofia è sbocciata! https://www.voavoa.org/sofia-e-sbocciata-la-primavera-di-voa-voa/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=sofia-e-sbocciata-la-primavera-di-voa-voa Wed, 19 Apr 2023 16:14:45 +0000 https://www.voavoa.org/?p=6041 La primavera di Voa Voa! Sofia è sbocciata!

Era la primavera cinque anni fa, Sofia era da poco volata in cielo, grazie a Fiorella Degl’Innocenti, nostra affezionata sostenitrice, eravamo riusciti a partecipare alla Mostra dei Fiori del 2018 al giardino dell’orticoltura a Firenze.

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Nonostante la soddisfazione di partecipare ad un evento così importante eravamo tutti un po’ spaesati: oltre alle nostre proposte abituali infatti, non avevamo gadget adatti ad un pubblico di pollici verdi per finanziare la Campagna Gocce di Speranza, ma grazie alla generosità di Fiorella, titolare dello storico vivaio “Guido Degl’Innocenti” siamo riusciti ad avere decine di sacchettini di organza viola con rizomi di iris.

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La primavera di Voa Voa! Sofia è sbocciata!

Era la primavera cinque anni fa, Sofia era da poco volata in cielo, grazie a Fiorella Degl’Innocenti, nostra affezionata sostenitrice, eravamo riusciti a partecipare alla Mostra dei Fiori del 2018 al giardino dell’orticoltura a Firenze.

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Nonostante la soddisfazione di partecipare ad un evento così importante eravamo tutti un po’ spaesati: oltre alle nostre proposte abituali infatti, non avevamo gadget adatti ad un pubblico di pollici verdi per finanziare la Campagna Gocce di Speranza, ma grazie alla generosità di Fiorella, titolare dello storico vivaio “Guido Degl’Innocenti” siamo riusciti ad avere decine di sacchettini di organza viola con rizomi di iris.

Nota esperta dell’iris in tutte le sue declinazioni e varietà, un giorno Fiorella mi convocò al viviao per un motivo molto speciale, voleva donarmi un rizoma molto raro e prezioso, un raro esemplare di iris “Sofia”.

Tornato a casa lo piantai subito riservadogli un posto speciale nel “Giardino di Sofia e Gloria” un’aiuola di fiori e odori intitolato alle bambine di casa.

Come dicono i saggi, “A chi sa attendere, il tempo apre ogni porta.”, infatti da quel giorno ci sarebbero voluti circa tre primavere prima di poter ammirare un fiore. Da quella prima fioritura ad oggi, l’iris Sofia ha continuato anno dopo anno a regalarci la gioia di fiori sempre più belli e numerosi.

Quest’anno l’iris Sofia festeggia i dieci anni di Voa Voa e l’avvio della sperimentazione annuale di screening neonatale, anch’essa “sbocciata” dopo una lunghissima attesa iniziata nel lontano 2015!!!

Grazie al tuo supporto e vicinanza continueremo a coltivare i fiori della speranza, pazienza e resilienza indispensabili ad dare continuità e concretezza alla nostra mission.

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Guido

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P.S. Hai voglia di aiutarci come ha fatto Fiorella?

Ti piacerebbe proporre o creare eventi a sostengo dell’Associazione? Faccelo sapere, sarebbe bellissimo dare vita a nuove collaborazioni!

Chiamaci al 333 6619512 oppure contattaci per mail scrivendoci a associazione@voavoa.org

 

 

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Matilde e Sofia a Medugorje https://www.voavoa.org/matilde-e-sofia-a-medugorje/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=matilde-e-sofia-a-medugorje Wed, 26 Oct 2022 15:41:39 +0000 https://www.voavoa.org/?p=6406 Matilde e Sofia a Medugorje

Matilde e Sofia: Il viaggio della speranza a Medugorje, la nascita di una bellissima amicizia e lo scambio di una promessa.

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Matilde e Sofia a Medugorje

Il viaggio della speranza, la nascita di una bellissima amicizia e lo scambio di una promessa.

 

“Quando ci siamo incontrate per la prima volta, io e Caterina ci trovavamo a Medugorje. Ognuna con la propria famiglia, ognuna con il proprio dolore. Soprattutto, ognuna con la propria figlia malata. Per entrambe fu un viaggio della speranza, ma non di quelli che normalmente si fanno verso gli ospedali e che, seppur dall’altra parte del mondo, offrono una possibilità di guarigione. Per le nostre figlie di cure e di guarigione non se ne poteva comunque parlare, dato che erano afflitte da patologie neuro degenerative fortemente invalidanti”.

Così Irene, mamma di Matilde, oggi una bellissima ragazza resa invalida al cento per cento dalla patologia SCN8A, ricorda il primo incontro con me e con Guido, in un periodo delle nostre vite in cui Voa Voa Amici di Sofia aps non era ancora neanche un pensiero.

Irene è una donna minuta, delicata come un fiore, con gli occhi grandi e il viso di una bellezza struggente. Gli eventi della sua vita, difficili da sopportare, le hanno tolto quasi completamente il sorriso.

“Era il 2011 -racconta-. Io e mio marito Claudio avevamo deciso di partire perché la fede nei nostri cuori era tanta. Volevamo affidare alla Madonna le nostre vite, sconquassate dalla malattia di Matilde e dal tumore -rarissimo- che aveva colpito Claudio. Non chiedevo miracoli eclatanti, o la guarigione completa di mia figlia, che al tempo aveva 10 anni. Non mi aspettavo che ai piedi della statua sul Podbrdo Matilde si sarebbe alzata dalla carrozzina, né che avrebbe parlato. Ciò che chiedevo per lei era un miglioramento, perché da sempre il dolore più grande del mio cuore è stato quello di non capire cosa le fa male, quale punto del corpo le dolga, se mia figlia abbia fame o sete. Se solo avessi potuto comprenderla con esattezza, sarei stata una madre più serena. Non mi importava che il destino la tenesse bloccata su una carrozzina, e avrei sopportato anche la vista delle sue crisi epilettiche. Tutto avrei accettato, ma che almeno mi si togliesse dal cuore il dolore di non poterla capire”.

 

Come sarebbe stato possibile, secondo te?

“Confidavo nella scienza, speravo si sarebbe trovato un farmaco capace di produrre nelle bambine come Matilde un piccolo miglioramento”.

 

E per Claudio cosa chiedevi?

“Che potesse curarsi, ma il suo tumore contava solo 7 casi in tutta Italia, era davvero rarissimo. Angiosarcoma, così si chiama, è un tipo di tumore che colpisce il rivestimento delle vene, e siccome non è circoscritto entro un’area specifica dell’organismo, non era curabile”.

 

E per te, Irene, cosa chiedevi?

“Per me chiedevo la fede salda, e la forza di affrontare le giornate della mia vita, una per volta, una dopo l’altra. Perché quando la sofferenza è troppa a volte fai la pazza o ti difendi cercando di non pensare. Allora ti sembra di essere diventata fredda. Invece, semplicemente, è un atteggiamento di difesa, perché quella vita non ti appartene, a nessun essere umano dovrebbe appartenere, ed è come se tu non l’avessi vissuta per davvero. Ci sono giorni in cui mi guardo indietro e mi chiedo come ho fatto a arrivare fino ad oggi”.

 

Cosa ti spaventa di più del futuro?

“Il famoso “dopo di noi”, la certezza che non potrò esserci per sempre per Matilde. Allora mi sento disperata. Però sto lavorando per garantirle la vita cui è abituata, anche quando io non ci sarò più. Ho adattato tutta la casa alla sua disabilità, l’ho trasformata in un ambiente piccolo e funzionale, tutto fatto su misura per lei. Poi ho chiesto al giudice tutelare di permettere a Matilde di continuare a vivere a casa sua, con l’aiuto di una badante magari, ma di non mettere mia figlia in un istituto. So per certo che lì non starebbe bene. Lei ha bisogno di riposare nel suo letto tranquilla, nel silenzio e nella quiete, la confusione la spaventa. Insomma, ha diritto a mantenere le sue abitudini”.

 

E Claudio?

“Claudio non c’è più. Il tumore se l’è portato via tanti anni fa. Ma la sua speranza, la sua fede, la sua forza erano incredibili, persino dinanzi alle grandi croci che ci erano arrivate addosso. Negli ultimi giorni di vita però piangeva, perché sapeva che avrebbe dovuto lasciarci sole. Ma ha comunque voluto regalarci tante parole indimenticabili, che mi hanno permesso di andare avanti e alle quali ancora oggi mi appiglio. Una volta gli dissi che volevo uccidermi, pur andare via con lui. Lui mi guardò e mi rispose “Vai tanto in chiesa, ma poi non rispetti tua figlia”. Era l’uomo più intelligente e aperto che abbia mai conosciuto, non ne esistono altri così. Anche mia madre è stata un punto di forza, ora li ho persi entrambi. Nel periodo in cui i ricoveri con Matilde erano tantissimi, io sentivo di non farcela più. Allora mia madre mi diceva “Irene, è toccato a te. Devi farcela! Ma il problema è che i genitori come noi sono lasciati troppo soli, nessuno se ne occupa, né lo Stato né la società. Siamo un peso per tutti, noi insieme ai nostri figli”.

 

Torniamo a Medugorje. Cosa hai pensato quando ci siamo incontrate per la prima volta?

“Tante sono le emozioni di quei giorni, a ripensarle adesso mi manca il respiro. Però mi ricordo di te come di un’anima in pena. Eri chiusa in te stessa, camminavi avanti e indietro come un fantasma, con gli occhi pieni di pensieri e di tristezza. Avevi i capelli corti, mi sembravi bella. Volevo capire cosa stessi pensando e cosa provassi. Io e te eravamo le uniche mamme con bambini piccoli malati, gli altri erano tutti anziani”.

 

E Guido?

“Lui mi sembrò come Claudio: più razionale in quel momento, con i piedi per terra. Forse gli uomini ragionano in modo diverso da noi e anche se entrambi erano presissimi dalle loro figlie, li vedevo più rassegnati, come se avessero accettato la loro croce. Pensa che all’epoca neanche avevamo una diagnosi per Matilde. Non sapevamo cosa aspettarci. Eppure Claudio era motivato a capire, a cercare. Contattò l’ospedale di Siena, il Gaslini di Genova, il Niguarda di Milano, e molti altri per fare analisi e scoprire più cose possibili sulla patologia ignota di Matilde. Io accudivo la bambina, ma non avevo forza di pensare agli ospedali. Lui invece studiava anche le diete, si faceva spedire i libri dall’America, prendeva in esame ogni aspetto che potesse essere utile e cercava soluzioni. Però, comunque, accettava che Matilde fosse così. Alla fine siamo stati complementari, ognuno ha fatto la sua parte”.

 

Il ricordo più forte dei giorni  a Medugorje?

“Strano a dirsi, ma sei tu. Eri come distaccata dai tuoi e da Guido, stavi sola, non volevi parlare. Eri davanti all’altare grosso, con la testa assorta, non vedevi né sentivi niente intorno. Non dimenticherò mai il tuo andare su e giù con quella bambina tra le braccia. Sofia non teneva più la testa dritta, aveva il collo incassato e i piedini equini. Mi affezionai a voi. E poi c’è il ricordo di quella salita che facemmo insieme per arrivare al Podbrdo, ai piedi di quella Madonna dove tutti abbiamo lasciato un messaggio di speranza. Matilde pesava tanto, e Claudio era debole per colpa della malattia. Allora un gruppo di persone ci aiutò a portare la sedia della bambina fin lassù. Voi Sofia la portaste in braccio perché era ancora piccola, appena due anni”.

 

Invece il mio ricordo più forte è l’abbraccio tra Guido e Claudio, sul sagrato della Chiesa, alla fine di una Santa Messa. Era notte, la luce dei lampioni intorno alla piazza illuminava le loro teste, io era ai piedi della scala e loro in alto, sul sagrato. Quel momento mi sembrò lo scambio di una promessa…

“Durante quel viaggio di appena pochi giorni era già nato un affetto tra di noi, e in quell’abbraccio era vivo e presente. Fu come uno scambio di anime, nel dolore condiviso Guido e Claudio erano diventati fratelli. Se so che una mamma sta passando quello che passo io, d’istinto la abbraccio, perché so cosa prova il suo cuore. Ma forse Claudio stava anche dicendo addio al suo amico, perché sapeva di essere gravemente malato. E comunque, se quello tra di loro è stato lo scambio di una promessa, allora per me Guido l’ha mantenuta, perché il conforto dalla Onlus è stato ed è tanto. Tu mi dici sempre che l’associazione fa troppo poco per me e per le altre famiglie, ma io ti rispondo con le parole di una parabola di Gesù, quella in cui una donna dona i pochi soldi che possiede ai poveri, mentre un ricco uomo ne dona molti di più, ma che sono ancora ben poca cosa rispetto alle ricchezze che ha. Gesù loda la donna, che pur avendo poco ha dato tutto. Così per me è tanto quello che la Onlus ha da offrirmi. Non lo misuro in quantità di soldi, ma nella qualità dei gesti rivolti a Matilde.

Quella promessa ha contribuito a dare senso a tutto il girovagare disperato che entrambe le nostre famiglie hanno affrontato, pur di cercare una speranza cui appigliarsi. Non è stato invano, se continuiamo a sentirci ancora oggi”.

 

Hai fatto altri pellegrinaggi nel corso del tempo?

“Con Claudio andammo anche a Lourdes, due volte. Furono esperienze bellissime e molto forti. Ma oggi la Madonna preferisco pregarla nella chiesa vicino a casa mia. Non è necessario fare un viaggio per cercare una speranza. Dio può sentirmi anche se resto qui”.

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Auguri Sofia! 13 stelle nel cielo di Voa Voa. https://www.voavoa.org/auguri-sofia-13-stelle-nel-cielo-di-voa-voa/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=auguri-sofia-13-stelle-nel-cielo-di-voa-voa Wed, 24 Aug 2022 17:58:29 +0000 https://www.voavoa.org/?p=6321 Auguri Sofia! 13 stelle nel cielo di Voa Voa.

Tredici anni fa nasceva Sofia, l'angelo che ci ha insegnato a Credere Amare e Resistere. Rileggiamo insieme il primo capitolo del libro che ha dato il nome alla tua Associazione. Voa Voa!

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Auguri Sofia! 13 stelle nel cielo di Voa Voa.

Auguri Sofia! 13 anni sarebbe stato un traguardo da festeggiare. L’ultimo anno alle scuole medie, poi la scelta del liceo e il primo passo verso il futuro. Il primo passo per diventare una giovane donna.

 

Fin da quando sei nata babbo e mamma si sono chiesti come saresti stata da ragazza. Quali sarebbero stati gli occhi che, incrociandosi ai tuoi, ti avrebbero fatto battere il cuore per la prima volta. Quale forma avrebbero avuto le tue spalle, le gambe, il tuo corpo. Quali sarebbero stati il colore dei tuoi capelli e i riflessi che il sole avrebbe causato nei tuoi occhi.

Voa Voa! libro scritto da Caterina Ceccuti
Voa Voa! Il Libro che ha dato il nome all’Associazione. CLICCA PER INFO

Dettagli, soprattutto su quelli la nostra attenzione si sarebbe soffermata, se avessimo potuto godere di una vita normale. Ed è comunque su quelli che ci soffermiamo oggi, nel giorno del tuo compleanno, almeno con il pensiero, usando tutta l’immaginazione del mondo per figurarci la tua bellezza, in salute, in vita.

“La prima sera che Sofia uscirà con un ragazzo -dicevamo quando eri appena nata, proiettandoci impazienti nel futuro- la seguiremo di nascosto e la spieremo da dietro un cespuglio”, perché non volevamo perderci neanche uno dei momenti importanti della tua vita, il primo bacio, l’emozione giovane e forte. Invece è arrivata la malattia, presto, troppo presto. Avevi meno di due anni. E non abbiamo avuto più tempo né forze di immaginarci il futuro che ci eravamo persi. Che tu avevi perso per sempre.

Durante i lunghi anni bui che ci hanno condotto al 30 dicembre 2017, di tanto in tanto, vedendo bambine e ragazzine camminare per strada, la morsa ai nostri cuori ha stretto tanto da farli sanguinare. Perché tu, al nostro fianco, non avresti camminato mai. Né avresti ballato al saggio di danza di fine corso. Né saresti andata in gita con la scuola.

L’unico cammino in cui avremmo potuto accompagnarti, contro ogni natura, contro ogni logica animale e terrena, sarebbe stato quello verso la fine.

Allora oggi, per celebrarti, piccolo amore nostro, rileggiamo insieme a te le pagine del primo capito della tua storia, Voa Voa… 

Nascita di Sofia De Barros
Mamma Caterina osserva Sofia appena nata.
Nascita di Sofia De Barros
Babbo Guido da il biberon a Sofia appena nata.

 


Condividiamo con grandissima emozione questo video, pensato e realizzato dalle Famiglie speciali socie di Voa Voa in occasione dell’anniversario di nascita di Sofia. Il video è stato pubblicato nella chat privata in cui le nostre famiglie si confrontano quotidianamente, nell’ambito del progetto “Complecoccole” , cui diverse di loro collaborano con lo scopo di festeggiare insieme il compleanno dei nostri bambini speciali. Per Guido e Caterina, genitori di Sofia, vedere questo video è stato un tuffo al cuore: a tredici anni dalla nascita sulla terra e a cinque da quella in cielo, quello del 2022 è stato un anniversario indimenticabile, vissuto nell’abbraccio corale delle famiglie con cui condividono speranze, dolore, ma soprattutto la certezza di poter contare sull’amore reciproco, che è più forte della sofferenza del corpo e dell’anima. Ringraziamo tutte le Famiglie che hanno autorizzato la pubblicazione del video e che hanno partecipato alla sorpresa, in particolare Barbara, coordinatrice del progetto “Complecoccole”, Chiara, creatrice di preziosi contenuti, e Federico per la realizzazione del video.

 

 

 

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Otto per uno, tutti per Mattia! https://www.voavoa.org/otto-per-uno-tutti-per-mattia-rarinoninvisibili/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=otto-per-uno-tutti-per-mattia-rarinoninvisibili Tue, 23 Aug 2022 09:34:35 +0000 https://www.voavoa.org/?p=6229 Otto per uno, tutti per Mattia!

A casa Voa Voa, continuiamo a raccontare storie magiche di famiglie coraggiose, questa è la testimonianza di Massimo, babbo di Mattia, un bambino dal sorriso speciale, al centro di una famiglia numerosa e di una drammatica battaglia per la vita. #rarinoninvisibili

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Otto per uno, tutti per Mattia!

A casa Voa Voa, continuiamo a raccontare storie magiche di famiglie coraggiose. Questa è la testimonianza di Massimo, babbo di Mattia, un bambino dal sorriso speciale al centro di una famiglia numerosa e di una drammatica battaglia per la vita.

 

Otto sotto un tetto. Vi ricordate la fortunata serie anni Ottanta che raccontava le avventure quotidiane di una famiglia numerosa americana? Ebbene, anche in Casa Voa Voa ce n’è una che possiede gli stessi numeri. È quella del nostro piccolo Mattia, composta da Papà, Mamma, i piccoli Federica, Noemi, Thomas, Nicol, Syria e lui, Mattia, una bambino tutto sorrisi e gioia di vivere che però, sfortunatamente, è affetto da una brutta patologia neuro degenerativa non diagnosticata. “La malattia lo sta consumando – papà Massimo non usa mezzi termini -. E quando si parla di condizioni gravissime come quella di Mattia non esistono neanche cure possibili. Allora il senso di frustrazione di un genitore diventa quasi insopportabile. Vorresti solo continuare a vedere il sorriso sul volto di tuo figlio, ma piano piano ti rendi conto che per lui diventa sempre più difficile  trovare la forza e la volontà per farlo”. Eppure Mattia, come d’altronde anche gli altri piccoli guerrieri che attraverso Voa Voa abbiamo avuto il privilegio di conoscere, non si è ancora arreso e, grazie all’amore dei suoi genitori e dei fratelli continua a combattere la sua battaglia.

 

 

Parlando con Massimo abbiamo scoperto cosa significhi per una famiglia così numerosa prendersi cura di un bambino disabile al cento per cento, e quale sia l’atmosfera che si respira in una casa in cui la gioia e la spensieratezza dell’infanzia devono obbligatoriamente fare i conti con le problematiche legate ad una patologia multi sistemica tanto grave. Paure, speranze, soprattutto emozioni forti, a volte troppo forti, che Massimo descrive come un nodo sempre più stretto che gli stringe la gola.

Secondogenito, Mattia ha oggi 9 anni e vive con la sua famiglia a Fiesole, vicinissimo al capoluogo toscano.

 

Massimo, quando vi siete accorti che qualcosa in Mattia non andava?

“Al terzo mese di vita. Il bambino non stava bene, aveva forti conati di vomito e diarrea continua. Decidemmo di portarlo al pronto soccorso, anche perché avevamo notato un’altra cosa strana: quando Mattia si innervosiva irrigidiva mani e piedi. E fu proprio questo ad insospettire i medici dell’ospedale, che decisero di fare accertamenti di tipo neurologico. Sfortunatamente, la risonanza magnetica confermò una malformazione corticale complessa”.

 

Cosa ha significato questo nella crescita del bambino?

“Ha significato crisi epilettiche, impossibilità per alcuni organi di formarsi correttamente – come nel caso del suo polmone destro-, scoliosi grave, tetraparesi spastica. Mattia è anche affetto dalla sindrome di Scimitarra (che comporta alcune anomalie cardiopolmonari) ed ha dovuto subire un importante intervento per la rotazione dello stomaco, che era posizionato completamente al contrario. Come potete immaginare, questo per lui  si è tradotto in molta sofferenza, eppure non ha mai perso il sorriso…almeno nei primi sette anni di vita. Recentemente è sicuramente meno reattivo e in generale più triste. Credo sia perché è stanco di dover combattere così tanto”.

 

Com’è il rapporto di Mattia con i suoi cinque fratelli?

“Favoloso. Tutti loro, anche i più piccoli, sembrano capire perfettamente la sua situazione e sono a loro agio con lui. Mattia, dal canto suo, se si sente benino e riesce a trascorrere una giornata tranquilla, partecipa ai giochi e si lascia coinvolgere dai fratellini. Risponde alle loro chiacchiere con uno dei suoi bellissimi sorrisi, guardano i cartoni insieme, si capisce che ha tanta voglia di giocare. Negli ultimi due anni però le crisi epilettiche sono molto aumentate, piange più spesso e -forse per colpa dei farmaci che siamo stati costretti ad aumentare – vuole solo dormire”.

 

Come funziona la gestione quotidiana di una famiglia così numerosa?

“Io e mia moglie non abbiamo aiuti. Lei sta a casa con i bambini, io lavoro come responsabile della pulizia dei treni. Appena rientro però la aiuto, soprattutto accudendo Mattia. Sono io, per esempio, che mi occupo di tutta la parte burocratico-sanitara che lo riguarda. Devo dire comunque che i fratelli sono bravi e, nonostante la loro età, cercano di dare una mano. Federica, la più grande, ha voluto imparare come si attacca Mattia al nutrimento via Peg e come si pulisce il punto di entrata della stomia. Ha solo 12 anni ma è già responsabile. I fratellini minori dimostrano tutti grande sensibilità nei confronti del fratello malato. Capiscono che si trova in condizioni particolari, diverse, e cercano di aiutare in casa. Ovviamente, restano bambini e non si deve pretendere troppo da loro”.

 

In famiglia riuscite comunque a fare tutto?

Storie #rarinoninvisibili MATTIA

“In qualche modo sì, con le dovute limitazioni e rinunce però. Tutte le estati, per esempio, riesco a portare qualche giorno i bambini al mare, e durante l’anno alcuni di loro praticano sport, secondo i rispettivi desideri. Tranne Mattia, purtroppo. Lui ha sempre adorato l’acqua e volevo portarlo in piscina a fare corsi di acquaticità con un insegnante di sostegno, ma non ci sono mai riuscito perché il Territorio non ha mai acconsentito allo sport in piscina, neanche in un contesto privato (nessuno sarebbe disposto a prendersi la responsabilità di un disabile gravissimo in età pediatrica, senza una prescrizione da parte del Territorio). Se penso a quanto Mattia abbia sempre adorato l’acqua, la frustrazione si fa ancora più forte. Ricordo che quando sono riuscito a portarlo in mare era collaborativo, muoveva le manine e le gambine. Adesso, comunque, è troppo tardi e non ce la farebbe più, le sue competenze motorie infatti, sono molto peggiorate negli anni e oltre alle capacità residue, oggi non avrebbe più lo stesso giovamento di anni fa.”[1].

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Come padre, cosa ti fa soffrire di più quando guardi alla tua grande, bellissima famiglia?

“Vedere Mattia soffrire, inerme dinanzi a una vita cui non può mai prendere parte attiva. Allora mi tengo la testa tra le mani e mi chiedo “Cosa posso fare per mio figlio?” La risposta è sempre e soltanto una: niente. Almeno, niente che possa farlo alzare dalla sedia a rotelle su cui è costretto, o che gli permetta di parlare, giocare, cantare una canzoncina con i suoi fratelli. E soffro per lui, per me, per tutti noi. A volte mi aspetterei più aiuto e maggiore comprensione da parte dei medici che lo hanno in cura. Invece la maggior parte di loro pensa che con bambini come Mattia non ci sia più nulla da fare, che siano casi disperati e persi, dunque si limitano a fare il minimo indispensabile, abbandonando la famiglia a se stessa. A volte, se mi arrabbio e scateno un caos, allora qualcosa si muove. Ma non dovrebbe essere così: alla fine, io sto solo chiedendo il bene di mio figlio, che sia accudito come si deve e con lo stesso impegno che si riserva ai bambini che hanno la fortuna di avere una cura e poter aspirare alla guarigione. Non chiedo molto, eppure la pubblica sanità non mi ascolta”.

 

 

Adesso, Massimo, ti va di raccontarci cosa invece ti fa felice guardando la tua famiglia?

“Il fatto che siamo tutti quanti innamorati di Mattia, e anche che i suoi fratelli non siano mai gelosi, benché io dedichi più attenzioni a lui”.

 

La gravità di Mattia ha portato spesso i medici a paventare l’ipotesi che presto o tardi vi lascerà. Come pensi reagiranno i suoi fratelli?

Sarà una botta terribile, assurda, illogica. Con la mia sofferenza di padre sono abituato a convivere. Io e mia moglie abbiamo sempre saputo quale sarebbe stato il destino di Mattia, ma i bambini non sospettano neppure che un giorno dovranno separarsi da lui. Solo la mia figlia più grande, ormai, se ne rende conto. Da due anni a questa parte le condizioni di Mattia stanno precipitando, non possiamo più negarlo. Ma anche conoscendo bene la realtà dei fatti e ritrovandoci tutti i giorni sbattuti in faccia i suoi peggioramenti, non ci sentiremo mai pronti”.

 

Te la sentiresti di mandare un messaggio al Territorio da cui, comunque, vi siete sentiti abbandonati?

“Eccome, gliene ho già mandati moltissimi sotto forma di mail, chiamate ecc. Ma non sono mai stato ascoltato. Quello che voglio dire a chi di dovere è che si porterà sulla coscienza il deterioramento fisico di Mattia. Perché, sapendo che gli avrebbe fatto bene e che lo avrebbe reso felice, non ha comunque voluto concedergli la possibilità di fare acquaticità in piscina o una più confortevole fisioterapia a domicilio. Quel poco che ci è stato fornito, ce lo siamo dovuti sudare. La verità è che non è esistita una presa in carico efficiente, che abbia saputo garantire il benessere del mio bambino”.

 

 

Testi: Caterina Ceccuti

Editing: Guido De Barros


[1]    L’Associazione Voa Voa Amici di Sofia aps ha accompagnato la battaglia di Massimo per l’ottenimento della prescrizione dell’acquaticità in piscina. Purtroppo il Territorio che ha in carico Mattia ha respinto a più riprese le nostre richieste, e l’arrivo del Covid ha bloccato ulteriori possibilità di azione da parte nostra.

 

 

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Maggiorenne? “Ex bambino complesso” non ti conosco! https://www.voavoa.org/maggiorenne-ex-bambino-complesso-continuita-assitenziale-non-ti-conosco/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=maggiorenne-ex-bambino-complesso-continuita-assitenziale-non-ti-conosco Sun, 31 Jul 2022 15:34:35 +0000 https://www.voavoa.org/?p=6149 Maggiorenne? “Ex bambino complesso” non ti conosco!

La chimera della continuità assistenziale nella transizione all'età adulta per gli "ex bambini complessi" è da sempre un'annosa questione, in questo articolo affrontiamo dura realtà nella testimonianza di tre mamme socie di Voa Voa!

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Maggiorenne? “Ex bambino complesso” non ti conosco!

La transizione dall’età pediatrica a quella adulta è un momento cruciale nella vita di un “bambino complesso” e per la sua famiglia. In questo articolo affrontiamo il dramma della continuità assitenziale nella testimonianza di tre mamme socie di Voa Voa i cui figli, seguiti per anni dall’ospedale pediatrico, si sono ritrovanti maggiorenni gravemente invalidi  sconosciuti alla rete assitenziale dell’adulto.

bambino complesso continuità assistenziale

Un’associazione è fatta di tante voci, tanti volti, ma di un solo cuore. Voa Voa! Amici di Sofia non è diversa. Le tessere che compongono il nostro piccolo prezioso puzzle di esperienze umane sono quelle di genitori che, nel silenzio delle loro vite quotidiane, portano avanti incredibili battaglie per il diritto alla migliore qualità possibile dei loro figli malati rari. Tre di loro sono amiche, si conoscono da anni, i loro figli hanno tutti più o meno la stessa età. Cinzia, Ilaria e Valentina, tre madri residenti nel territorio di Prato (in Toscana) che recentemente si sono trovate ad affrontare la delicata questione della continuità assistenziale nella transizione dall’età pediatrica ai diciotto anni. A Voa Voa ciascuna di loro ha raccontato la propria esperienza, per denunciare una condizione che le ha accomunate e che, così temono, accomunerà ancora molti altri genitori in futuro, se le cose non si decidono a cambiare.

 

Cinzia ha due ragazzi senza diagnosi – Letizia di quasi 23 anni e Leonardo di 21 – completamente dipendenti dall’assistenza di un caregiver h24. Quando rimase incinta del suo secondo figlio i genetisti le dissero che un caso raro come Letizia non era ripetibile, tanto più se si trattava di un figlio di sesso diverso, e che quindi poteva portare avanti la gravidanza tranquillamente. Invece Leonardo è un malato raro anche più critico della sorella, ma questa è un’altra storia.

Mamma Cinzia insieme a Leonardo e Letizia

Fin dalle prime indagini, Letizia -che al tempo aveva solo 9 mesi- è stata presa in carico dall’Ospedale pediatrico del nostro territorio.

“Noi siamo di Prato -spiega Cinzia- ma ad eccezione del neurologo abbiamo sempre fatto riferimento alla Clinica del bambino complesso di Firenze per tutte le altre specializzazioni necessarie al follow up dei miei figli, che sono malati multi sistemici. Questo, fino alla maggiore età, ha consentito a Leo e Lety di eseguire tutte le visite e gli esami di controllo in un unico day hospital, limitando a loro lo stress di doversi recare a più riprese all’ospedale o nei vari ambulatori e a me la preoccupazione di dover organizzare diversi spostamenti per due ragazzi che, a causa delle problematiche respiratorie, sono dipendenti dall’ossigeno per respirare”.

Subito dopo il compimento della maggiore età però, l’ospedale pediatrico ha dismesso la propria presa in carico lasciando mamma Cinzia improvvisamente sola e priva di una qualsivoglia assistenza.

“Non ho avuto alcuna indicazione. Al compimento dei sedici anni gli specialisti dell’ospedale pediatrico hanno iniziato a prepararci al fatto che avremmo dovuto essere presi in carico altrove e che sarebbero stati loro ad occuparsi di tutto. Invece il passaggio è stato traumatico. Dall’oggi al domani ci siamo ritrovati abbandonati a noi stessi senza alcuna continuità assistenziale. Ci era stato promesso che sarebbero stati presi contatti con il nuovo reparto per eseguire una transizione soft, tenendo conto dell’evoluzione dei ragazzi e della loro attuale condizione. Invece, l’unico passaggio che è stato realmente eseguito è stato quello con il reparto nutrizionale per le consegne relative all’alimentazione assistita di Leonardo (visto che lui ha la peg), e parzialmente per quella di Letizia. Il resto non è stato fatto. Non siamo stati presentati allo pneumologo -benché entrambi i miei figli abbiano situazioni respiratorie complicate e necessitino di ossigeno (Letizia ha anche il ventilatore fisso mentre fa ginnastica). A parlarmi di bravi specialisti cui fare riferimento sul territorio di Prato sono stati dei genitori come me. Alla fine, con le mie sole forze, piano piano sono riuscita a ricostruire intorno ai miei figli una rete di specialisti validi che li seguono adeguatamente, ma la possibilità di eseguire regolari follow up in un unico day hospital non esiste più. Sono io che devo contattare personalmente ciascuno specialista, dal neurologo allo pneumologo, dal gastroenterologo all’endocrinologo, dato che entrambi i miei figli hanno disfunzioni tiroidee. Oltre ad essere un caregiver a tempo pieno di due ragazzi disabili al cento per cento devo pure coordinare gli specialisti e sono priva di punti di riferimento. In una settimana capita che sia costretta a fissare 10 appuntamenti. Siccome non posso stressarli andando continuamente in giro con loro, molte visite ho dovuto pagarle a spese mie, per non farli ammalare di altre cose”.


 

Ilaria ha una figlia di 22 anni, Martina. Intelligente, solare, determinata, ma completamente dipendente dalle cura della madre per colpa di una Paralisi Cerebrale severa.

Mamma Ilaria e Martina

“Dal momento in cui esci dall’Ospedale pediatrico non ti segue più nessuno, e neanche ti viene indicata la strada che dovrai seguire. Dall’oggi al domani sei fuori. Ed e Martina siamo state mandate via, anche se lei è portatrice di peg e ha alle spalle un passato tribolato di complicazioni posturali abbastanza gravi da averla condotta ad un intervento molto invasivo alla spina dorsale. Chiesi alla Clinica del Bambino Complesso dell’ospedale pediatrico che conosceva Martina dalla nascita, “Dove devo andare? Mi occorre un neurologo perché Martina soffre di epilessia”. Mi è stato risposto che dovevo provvedere da sola. Così ho pagato un neurologo privato. Per quanto riguarda l’assistenza alla nutrizione via peg, feci domanda al reparto dell’Ospedale per adulti di Firenze, che la presa in carico, ma successivamente mi sono spostata a Prato, dove risiedo, per questioni di praticità. Attualmente, con il tempo e la pazienza, sono riuscita a costruire intorno a Martina una rete di assistenza efficace, ma facendo tutto per conto mio. Dopo la pandemia sono riuscita a mettere insieme un bravo pneumologo, un ottimo nutrizionista e, su suggerimento dell’infermiera della neurologia di Martina, ho fatto accettare mia figlia nella neurologia di Prato, di modo che ogni sei mesi la porto al follow up.

Lo pneumologo è un angelo, a volte viene anche a casa. Il nutrizionista ha aperto un progetto apposta per lei, altrimenti Prato non avrebbe potuto seguirla a casa. I day hospital, come dice Cinzia, non esistono più, come non esistono per qualsiasi paziente adulto. Ma quello che è davvero inaccettabile è la dimissione, coatta e priva di qualsivoglia indicazione, che l’Ospedale pediatrico esercita da un momento all’altro quando ragazzi che segue da molti anni diventano maggiorenni, vanificando così una reale continuità assistenziale”.


 

Infine Aurora. 19 anni, il viso di un angelo, il sorriso di una che, se non fosse stata affetta da una rara forma di sindrome di Rett, avrebbe certamente manifestato un carattere sbarazzino.

Mamma Valentina, come pure Cinzia e Ilaria, è battagliera e determinata, tanto che per ottenere una diagnosi per sua figlia -che pareva non averne- ha continuato a cercare risposte fino a che, tre anni fa, le ha ottenute proprio dai genetisti dell’Ospedale pediatrico di Firenze.

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Mamma Valentina e Aurora

“Mi aspettavo che, considerato il fatto che la diagnosi di Rett era stata tardiva e che era arrivata proprio dall’ospedale dove Aurora era seguita da sempre, al compimento dei 18 anni non ci avrebbero mandato via subito. Invece è stata dimessa addirittura un mese prima del compleanno. Chiesi la continuità assienziale, allora mi garantirono che avrebbero compilato le apposite griglie previste dalla Regione Toscana per inserirla nel mondo ospedaliero degli adulti. Invece, quando mi sono presentata al nuovo Ospedale, non la conosceva nessuno. Ho scritto di mio pugno alla cardiologia perché venisse presa in carico. Non esistono canali privilegiati per malati complessi come Aurora, Martina, Letizia e Leonardo, e questo è sconvolgente, data la gravità della loro situazione.

Ad Aurora pago tutto privatamente, usando la sua pensione di invalidità, perché per l’assistenza pubblica lei è diventata una persona normale, che deve fare riferimento a liste di attesa interminabili, come purtroppo capita alle persone normotipiche. Questo vale anche per aspetti prioritari della sua salute, perché se aspettassi ogni volta i tempi del Cup avrei visite fissate al 2023 o addirittura al 2024. Non esiste follow up. Siamo passati da un ambulatorio pediatrico dedicato al bambino clinicamente complesso -con follow up ogni 3/6 mesi- al niente assoluto.

Sono un’infermiera, una dipendente pubblica. Ho scritto all’Urp per denunciare il fatto che mi vergogno di un servizio sanitario così. Da parte mia non mi sono mai risparmiata, per mia scelta faccio la turnista, benché sia una mamma caregiver, perché se facessi la giornaliera sarebbe ancora più difficoltoso sostituire la mia assenza. La mia protesta ha sbloccato subito la situazione e sono stata contattata per la programmazione dell’EEG. Ma cosa devono aspettarsi genitori che non lavorano all’interno di un ospedale?”

 

È sicuramente questa la preoccupazione più grande condivisa dai tre cuori delle nostre mamme speciali: che altri genitori non si trovino in futuro a vivere la drammatica condizione che hanno vissuto loro. L’appello di Voa Voa va alle Istituzioni toscane, come sempre, perché si interessino ai malati rari ma anche alle loro famiglie, implementando la continuità assistenziale della transizione pediatrico-adulto, un tema di vitale importanza per la salute dei pazienti e per la salvaguardia dei loro caregiver da situazioni di stress ancora maggiore rispetto alla già complicata quotidianità.

 

PER APPROFONDIMENTI:

“La transizione degli adolescenti clinicamente complessi alle cure dell’adulto”
Articolo di: Moira Borgioli, (UOC Progettazione, Sviluppo, Formazione e Ricerca, AUSL Toscana Nord Ovest)
Alessandro Monaci, (UOC Pediatria e Neonatologia di Grosseto, AUSL Toscana Sud Est)

bambino complesso continuità assistenziale

Caterina Ceccuti e Guido De Barros

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Il Sole, la Luna e la stella Rossana. https://www.voavoa.org/il-sole-la-luna-e-la-stella-rossana/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-sole-la-luna-e-la-stella-rossana Thu, 30 Jun 2022 16:14:26 +0000 https://www.voavoa.org/?p=6134 Il Sole, la Luna e la stella Rossana.

Quella di Rossana, la “nostra adorata Rossanina”, è stata una vita breve, che però grazie ai suoi genitori ha prodotto sulla terra una scia di amore e meraviglia, proprio come la coda di una magnifica cometa, e Voa Voa Amici di Sofia ha avuto il privilegio di assistere al suo passaggio, e di raccogliere in piccola parte quella polvere magica che tutt'oggi, a distanza di anni, continua ad illuminare il cammino di tutti noi.

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Il Sole, la Luna e la stella Rossana.

La loro è forse la famiglia più poetica che abbia incontrato. Ligure lui, Valdostana lei. Capelli oro e occhi azzurro cielo lui, mediterranea nei colori e nel temperamento lei. Il giorno e la notte o, come amano definirsi tra di loro, il Sole e la Luna. E da un’unione simile non poteva che nascere una Stella, Rossana.

 

Ma partiamo dal principio, perché certe storie d’amore sono talmente magiche che meritano di essere raccontate con i giusti tempi. Barbara e Massimo si conoscono e si innamorano a dodici anni. Le regioni distanti, le vite troppo giovani e lontane li separano. Eppure il fato a più riprese, negli anni, gioca a farli rincontrare, e ogni volta il loro amore si risveglia. Inutile combattere: il loro destino, nonostante le difficoltà logistiche, è quello di stare insieme. Barbara abbandona la Val d’Aosta e diventa ligure di adozione, condividendo con Massimo la casa con la grande terrazza affacciata sul mare, che sembra davvero lo scenario di una fiaba a lieto fine. Insieme condividono anche un’altra cosa, il profondo amore per i bambini, che la piccola Rossana permetterà di esprimere alla massima potenza. Questo tenero germoglio che porta il nome della Stella più lucente nel firmamento, ha i colori chiari dell’alba sul mare, la tenerezza delle cose piccole, preziose, la bellezza di entrambi i suoi genitori. Ma c’è qualcos’altro, purtroppo, che ha ereditato da Barbara e Massimo, qualcosa di cui nessuno, men che mai loro due, poteva sospettare: la combinazione di due geni portatori di una patologia tanto rara quanto grave, che si chiama Leucodistrofia di Krabbe.

Quella di Rossana, la “nostra adorata Rossanina”, è stata una vita breve, che però grazie ai suoi genitori ha prodotto sulla terra una scia di amore e meraviglia, proprio come la coda di una magnifica cometa, e Voa Voa Amici di Sofia ha avuto il privilegio di assistere al suo passaggio, e di raccogliere in piccola parte quella polvere magica che tutt’oggi, a distanza di anni, continua ad illuminare il cammino di tutti noi.

 

Barbara, com’era Rossanina?

“Una bambina tranquilla. Mi ha sempre stupito il fatto che fin dalla nascita avesse già preso il corretto ritmo sonno-veglia. Anche dopo l’esordio della malattia, le brutte nottate si possono contare sulla punta delle dita. Altra cosa che ha sempre incuriosito me e il suo papà è il fatto che fosse molto attaccata al mangiare, le è sempre piaciuto tanto, mentre a noi genitori non importa nulla del cibo, tanto che a volte ci dimentichiamo persino dei pasti. Ma quel che Rossanina adorava di più era la musica. Sarà perché io ho sempre danzato in vita mia, non ho smesso neanche quando avevo il pancione, perciò la musica e il ballo hanno sempre fatto parte della nostra vita e hanno sempre rasserenato Rossana, fino all’ultimo”.

 

Com’è per te Rossana oggi?

“Ho grandi difficoltà ad immaginarla grande, anche se da quando è nata in Cielo sono passati diversi anni. Confesso che quando ci penso devo mettermi a contarli con le dita, e anche così restano solo un numero, perché per me Rossana sarà sempre una patatina piccolina, di appena 62 centimetri di lunghezza, visto che la malattia le aveva bloccato la crescita.

Comunque, grande o piccola che sia, io mia figlia la sento tutt’oggi, in tanti modi. L’ho sempre sentita. Spesso attraverso la musica, che come dicevo è sempre stato un nostro canale privilegiato, e lei lo adotta ancora. Quando io e Massimo la pensiamo con più intensità, ecco che in qualche modo arrivano le nostre canzoni, alla radio o altrove, benché ormai siano per la maggior parte passate di moda. Negli ultimi dieci giorni della sua vita, è stata Rossana a portare me e suo padre per mano, a farci capire come avremmo dovuto fare per affrontare quello che ci stava capitando, e quello che ci avrebbe aspettato dopo. Ma mentre nei primi tempi dalla scomparsa la sua presenza si avvertiva forte nei momenti in cui eravamo tristi, adesso è il contrario. Quando sono arrabbiata, nervosa e la chiamo, lei è sfuggente e non riesco a sentirla. Nei momenti in cui invece sono propositiva e serena lei arriva, come a dire Stai facendo la cosa giusta mamma, devi pensare a stare bene”.

Ricordo ancora quando Guido ricevette la prima telefonata di Massimo al telefono. Ero con lui in quel momento e lo vidi piano piano farsi serio mentre parlava con qualcuno di cui, ancora, non sapevamo niente. “C’è una nuova famiglia Cate -mi disse-, ha bisogno di aiuto”. A quel tempo il progetto “Voa Voa da noi” era appena cominciato. Avevamo ospitato a Firenze solamente una famiglia, quella del nostro adorato Munny di Roma. L’esperienza non era molta, ma potevamo contare su una squadra di specialisti volenterosi e molto competenti, che per tre giorni si sarebbero dedicati a Rossanina e ai suoi cari, con il solo scopo di migliorare la qualità della vita della famiglia, in un momento drammatico come sempre è il post diagnosi di una patologia neuro degenerativa infantile. I giorni a seguire furono per Guido e per i volontari molto concitati. Barbara e Massimo ci avevano chiesto di incontrarci e tutta la onlus ci teneva ad accontentarli il prima possibile. Avevamo capito che si sentivano abbandonati dalla struttura ospedaliera e dal territorio di competenza. Soprattutto, avevamo capito che avevano bisogno di incontrare un poco di umanità. Quando arrivarono nella struttura alberghiera che avevamo predisposto per loro, un luogo calmo e molto tranquillo sulle colline di Firenze, Guido andò ad accoglierli, mentre io rimasi a casa con la piccola Sofia. Ricordo come se fosse ora quello che mio marito mi disse una volta rientrato a casa: “Come è andata Guido? Com’è Rossana?”

“È piccola Cate. Davvero piccola. Ha solo sei mesi. Dio mio, saremo in grado di essere un poco utili a questi due genitori?” E nel dire questo la faccia gli si era fatta pallida e una preoccupazione seria traspariva dai suoi occhi.

Ancora non sapeva che, in realtà, sarebbero stati loro ad aiutare noi, quella volta e in futuro, con l’infinita dolcezza che gli è propria, ma anche con l’indubbia forza e determinazione con cui hanno sempre accudito Rossana e sostenuto l’associazione anche nelle difficoltà.

 

Barbara, ti va di raccontare il momento in cui avete incontrato Voa Voa?

“Vi abbiamo scoperto tramite il sito. A quel tempo io la notte cercavo, cercavo senza sosta. Tutti dicevano che cose simili a Voa Voa non esistevano. Vi abbiamo contattato e quando ci avete detto che potevamo venire abbiamo semplicemente pensato “Cavolo, questi ci vogliono davvero”, perché dacché Rossana si era ammalata, nessuna struttura socio sanitaria ci aveva accudito.

Arrivammo e ci trovammo dinanzi Guido. Sapevamo che non era un dottore, che era solo un padre, un genitore come me e come Massimo. Ma il modo di porsi e di parlare ci mise a nostro agio, subito pensammo che sapesse tante cose di questo mondo nuovo, il mondo delle malattie gravi infantili, pur restando un semplice padre. Con lui non dovevo sforzarmi di usare il linguaggio che usavo per relazionarmi con i medici. Potevamo rilassarci, finalmente, e penso di non aver mai dormito serena come in quelle tre notti di progetto a Firenze, con la sensazione di essere protetti da un papà che stava a braccia aperte per noi, e dai tanti amici che si dimostrarono essere i volontari della Onlus. Fino ad allora avevamo ricevuto solo botte in testa, tanto che quando Guido ha lasciato l’appartamento ci siamo tirati un pizzicotto. Poi è arrivata Caterina, una donna e una mamma come me, e se anche avessi avuto qualche timore, davanti al suo sorriso mi è passato. Quel quel primo sorriso me lo ricordo ancora. Guardavo i suoi occhi e ci vedevo dentro un misto di gioia per il fatto di poterci accogliere, e di tristezza per quello che ci stava succedendo. La prima carezza che mi ha fatto è stata quella delicata che si fa ad una bambola di porcellana. E solo per quell’accoglienza, dissi dentro di me, “ti affido mia figlia”, nel momento in cui mi ha chiesto di tenerla in braccio. Rossana non andava volentieri in braccio alle persone, era molto selettiva, perciò io mi ero adattata alla sua volontà. Invece in quel caso la sensazione è stata diversa”.

Anche io ho un ricordo preciso del mio primo incontro con Barbara e Massimo, questi fratelli che il destino ha avuto la bontà di assegnarci, pur non condividendo la stessa linea di sangue. Guido mi portò al loro alloggio di pomeriggio. Massimo aprì la porta: la tristezza, la dolcezza, la bontà negli occhi. Indicò Barbara che teneva in collo questo minuscolo fagottino biondo e mi disse “Da quando ci hanno detto che nostra figlia è malata, Barbara piange”. Gli sorrisi, anche se avrei voluto mettermi a piangere insieme a lei, perché sapevo bene quello che il loro cuore stava passando. “Che altro potrebbe fare una mamma?” gli risposi. Allora lui sembrò un poco tranquillizzarsi, come riprova del fatto che non c’era nulla di sbagliato in lui, nelle cose che fino ad allora aveva fatto per sostenere la sua Barbara in un momento simile, perché la sua reazione di mamma era del tutto naturale, anzi era l’unica possibile e, soprattutto, sarebbe stata comunque inevitabile. Massimo non era preoccupato soltanto per la bambina, ma anche per la sua compagna. Come spesso capita ai padri di famiglia quando si trovano dinanzi ad una situazione irrisolvibile per questioni di forza maggiore, anche lui si sentiva impotente. Nei suoi occhi leggevo i pensieri che anche Guido aveva avuto mille volte “Se soltanto avessi gli strumenti, combatterei fino allo stremo questo mostro che si mangia la mia famiglia”. Perché quando si ammala un figlio, si ammalano anche i genitori. Ma purtroppo gli strumenti per combattere il morbo di Krabbe non sono mai stati inventati.

Barbara stava in disparte con la sua bambina tra le braccia, leggermente curva, come se per proteggerla stesse facendosi carico di un enorme macigno sulle spalle. Mi si avvicinò piano piano, con tutta la dolcezza e la paura del mondo, per il fatto di condividere con me la sensazione truce di sentirsi disarmata, dinanzi a un mostro che ogni momento si portava via un pezzo delle nostre figlie. Ci riconoscemmo. Riconobbi nei suoi occhi le stesse emozioni che ogni giorno sentivo anche io. Provai a sorriderle, perché in quel momento Barbara non aveva bisogno di altra disperazione. Poi ci siamo abbracciate piano, teneramente Ti capisco, sono uguale a te. Ci sono e ci sarò, è stata la nostra tacita promessa reciproca.

 

Barbara, cosa vi ha portato via per sempre la malattia e, se lo ha fatto, cosa invece vi ha regalato?

“Più passano gli anni e più mi rendo conto di avere difficoltà ad usare parole assolute, ma in questo caso posso permettermi di dire che la malattia ci ha tolto per sempre la felicità. Nella vita potrò essere contenta, ma non felice, perché quello che ci è successo e la mancanza che ho di mia figlia me lo impediranno sempre. Un’altra cosa che ci ha tolto è la spensieratezza. Anche quando vengono a trovarsi gli amici più cari, anche nei momenti di festa, manca sempre un pezzo per sentirci pieni.

Ma posso dire che la malattia ci abbia anche regalato delle cose. Ha svegliato in noi emozioni  e risorse che non credevamo di avere, e ha portato alla luce la parte migliore di entrambi. Rossana, con la sua terribile malattia, ci ha donato un sentire che con un bimbo normale non avremmo saputo percepire. Dico questo perché, personalmente, sono una persona puntigliosa e sicuramente un bambino che scrive con i pennarelli sui muri mi avrebbe fatto arrabbiare. Dopo quello che ho vissuto con mia figlia invece, se avessi avuto un secondo figlio sono sicura che avrei preso un pennarello anche io e mi sarei messa a disegnare sui muri con lui. Penso che questo sia una specie di dono: il tempo con i bambini speciali è meno frenetico, più prezioso proprio perché breve, e ti porta a conoscere e vivere un’altra dimensione.

Altra cosa che ci è rimasta addosso dopo l’esperienza della malattia di Rossana è la sensazione che ad ammalarci siamo stati anche Massimo ed io. Ancora adesso che sono passati anni e abbiamo accettato l’idea di dover continuare a vivere in “maniera normale”, mi accorgo che la confusione che avevo in testa per colpa della malattia di Rossana, dei suoi ritmi particolari e dell’assenza di regole che scandiva le nostre giornate, continuo a portarmela dentro. Ho un equilibrio precario, magari per due o tre giorni mi sembra di avere tutto sotto controllo, poi invece mi perdo di nuovo. La mattina, per fare un esempio pratico, sento la testa nel pallone, ho difficoltà ad organizzare le cose e ad essere reattiva. Poi, durante la giornata, l’ansia scema. Insomma, è come se dovessi ogni volta spiegare a me stessa che i malati non siamo noi, che non lo siamo mai stati, e che dobbiamo ancora imparare a tenere la malattia al suo posto”.

“Insieme ai volontari della Onlus avevo sistemato nel frigo dell’appartamentino dove ospitavamo Barbara e Massimo del cibo per far fronte ai tre giorni di incontri previsti dal progetto -ricorda Guido-. Mi colpì il fatto che non mangiarono nulla, e che a fine progetto il frigo fosse rimasto pieno. Non avevano né tempo ne voglia di mangiare, l’unico interesse era rivolto alla bambina. Essere naufraghi senza avere in vista la terra ferma è terribile. Non avere strumenti per gestire la genitorialità extraospedaliera è terribile. Dare una spinta, anche piccola, a un genitore impaurito da simili, mostruose patologie, facendogli incontrare specialisti che hanno a cuore la gestione del bambino da parte dei genitori, può rivelarsi importante. E questo è sempre stato lo scopo di Voa Voa da noi. Nel caso di Barbara e Massimo, ricordo che sono stati molto importanti i momenti di incontro con la dottoressa Imma Florio e con la logopedista Daniela Clemente.”

Barbara rievoca le sensazioni dell’incontro con gli specialisti di Voa Voa:

“La particolarità di tutti gli specialisti che incontrammo rispetto a quelli con cui ci eravamo relazionati fino ad allora, è che si trattava di persone capaci prima di tutto di osservare, e di prendere in carico a 360 gradi l’intera famiglia, come passaggio indispensabile per potersi prendere cura in modo efficace di Rossana. Erano tutti professionisti esperti, ma anche persone di grande umanità. Per esempio, quando venivano nell’appartamento per visitare la bambina, se per caso lei dormiva non mi chiedevano mai di svegliarla, come invece avevano sempre fatto i medici con cui ci eravamo relazionati prima. Aspettavano lei, rispettavano i suoi tempi, perché solo così avrebbero potuto visitarla nelle condizioni giuste, senza farle prendere paura o farle partire le crisi epilettiche. Questo rappresentava un occhio di riguardo anche verso noi genitori, che ci siamo sentiti parte della cura. Gli specialisti ci facevano domande, ascoltavano con attenzione le risposte raccogliendo le nostre parole come dati importanti per imparare a capire la bambina. La visita non durava un attimo, e Rossana non veniva mai guardata da lontano. Erano visite accurate in cui ogni specialista tentava di stabilire un contatto con lei. E noi l’abbiamo affidata loro con serenità e fiducia, scoprendo un approccio alla cura mai provato prima e riscontrando risultati concreti. Ogni specialista, nel proprio ambito, aveva da trasmetterci qualcosa per migliorare la qualità della vita di nostra figlia. L’esperienza del Voa Voa da noi ha rotto il dogma imposto da una medicina che si ferma laddove non esiste una cura capace guarire. In quei giorni abbiamo imparato che, anche se la situazione di Rossana non era risolvibile, c’erano ancora moltissime cose che potevamo fare per lei come genitori.

Ricordo sempre le parole della dottoressa Imma Florio “Piangi Barbara, ne hai tutto il diritto. Ma solo cinque minuti, poi ti tiri su le maniche perché c’è tanto da fare”. La stessa dottoressa che capì, tra le righe delle mie mille domande, che avevo bisogno di sapere quanto sarebbe vissuta mia figlia “Non posso rispondere a questa domanda, perché nessuno lo sa. Hai capito da sola che il tempo è poco, ma per questo devi cambiare prospettiva e vivere il giorno di oggi. Non pensare all’ultimo istante, pensa all’adesso”. Era la prima volta che un medico mi diceva una cosa del genere. Imma mi mise in contatto con Anna Costa, un’altra pediatra super speciale che esercita sul territorio ligure e che poi ci ha seguito fino alla fine. Stessa magia l’abbiamo sperimentata con gli altri specialisti, Daniela Clemente, per esempio, che ci ha introdotti al prezioso mondo della logopedia, cui poi abbiamo dato seguito in Liguria grazie ad Anna Cattaneo (residente a Savona), che pur di visitare Rossanina si faceva ogni volta 120 km di treno all’andata e al ritorno.

Una volta scoperti specialisti così umani, tornati a casa non abbiamo più accettato niente di meno per Rossana, e tutta la squadra che l’ha seguita è stata composta esclusivamnete da persone speciali”.

 

Caterina Ceccuti e Barbara Gagliano

 

 

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Mina alla guerra! https://www.voavoa.org/mina-alla-guerra/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=mina-alla-guerra Mon, 30 May 2022 21:00:22 +0000 https://www.voavoa.org/?p=6111 Mina alla guerra!

La denuncia di Mina, mamma di Natale affetto da Leucodistrofia Metacromatica: “Come genitori di bambini gravissimi non abbiamo figure di sostegno qualificate che ci permettano di dedicare qualche ora al giorno al lavoro e alla socialità. Lo Stato ci vuole perennemente soli, confinati entro le mura domestiche, sfiniti dal dolore e dai ritmi di vita che un caregiver deve sostenere quando si ha a che fare con patologie neuro degenerative".

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Mina alla guerra!

La denuncia di Mina, mamma di Natale affetto da Leucodistrofia Metacromatica: “Come genitori di bambini gravissimi non abbiamo figure di sostegno qualificate che ci permettano di dedicare qualche ora al giorno al lavoro e alla socialità. Lo Stato ci vuole perennemente soli, confinati entro le mura domestiche, sfiniti dal dolore e dai ritmi di vita che un caregiver deve sostenere quando si ha a che fare con patologie neuro degenerative”.

 

 

Mina è una giovane donna che da 14 anni si prende cura di suo figlio Natale. Un bambino dallo sguardo dolce e gli occhi scuri. Un bambino che, purtroppo, dall’età di due anni è entrato a far parte della schiera dei malati rari, quelli gravissimi che nessuno vuole neanche vedere, perché la malattia e la morte -soprattutto di un bambino- fanno paura. La patologia di Natale si chiama Leucodistrofia Metacromatica, chi segue Voa Voa! Amici di Sofia aps sa bene di cosa stiamo parlando. La MLD è una patologia genetica rara, neuro degenerativa, completamente invalidante. Si manifesta, appunto, tra l’anno e mezzo e i due anni di vita, prima di allora il bambino è perfettamente normale. Parla, cammina, fa tutto quello che qualunque bambino della sua età deve fare. Poi, da un giorno all’altro, comincia a zoppicare, perdere l’equilibrio, dimenticare le parole. Nel giro di pochi mesi non è più capace di muovere un muscolo, di parlare, di masticare o deglutire, di vedere. I centri diagnostici che in Italia identificano la MLD solitamente paventano una durata della vita pari a circa tre anni dall’esordio della malattia. Natale invece sta per compierne 14. Mina, la sua mamma, non si stanca mai di accudirlo. I sogni che aveva per suo figlio non erano certamente quelli di vederlo disteso perennemente in un letto, con la peg nella pancia e la tracheostomia nella gola, ma nonostante il dolore lei non molla. Vive a Rimini con Natale e suo marito, ma i suoi sono lontani, nel Sud Italia, e Mina è sempre sola. Dopo tanti anni da caregiver, sente il desiderio di riprendere a lavorare per qualche ora al giorno, giusto per recuperare una dimensione di normalità che non ha più, da quando la malattia è subentrata occupando di prepotenza tutto lo spazio della sua quotidianità. Recentemente è tornata a lavorare come educatrice negli asili nido, ma per farlo sta facendo i salti mortali, perché il Paese in cui viviamo non prevede il reinserimento dei “genitori speciali” come lei, nel mondo del lavoro e nella società.

 

Mina, ci racconti qual è il problema?

“Dopo tanti anni mi sono accorta che oltre ad essere la mamma di Natale sentivo il bisogno di tornare ad essere anche una lavoratrice. Sono sempre stata un’educatrice di asilo nido, è questo il mio ambito professionale. Nel 2019 ho riniziato a fare qualche supplenza e dal 2020 sono collaboratrice scolastica, non di ruolo, ma faccio supplenze per 36 ore settimanali. Fino ad ora non ho mai ottenuto un part time di 18-24 ore, che sicuramente mi permetterebbe di continuare la mia professione, avendo però più tempo da dedicare a mio figlio. Lavorare per me è un piacere, è stata una svolta poter ritornare, e in una situazione diversa dalla mia, 6 ore al giorno si sosterrebbero tranquillamente. Ma nel mio caso bisogna considerare che la persona che mi sostituisce con Natale deve arrivare prima, per permettermi di occuparmi in tempo delle terapie di mio figlio e di fare la strada per arrivare a lavoro. Alla fine, le ore in cui ho bisogno di essere sostituita diventano 8”. 

 

Accudire un malato gravissimo e multi-sistemico non è come accudire un bambino normale…

“No di certo. Loro non mangiano da soli, devono essere cambiati perché indossano il pannolone, devono assumere più volte al giorno la loro terapia, devono essere aspirati spesso dalle secrezioni. Quando torno da lavoro mi aspettano la gestione completa del bambino e della casa. Ecco allora che realizzare il mio desiderio di tornare a lavorare è stato molto pesante. Il problema è che il nostro Paese non garantisce alle famiglie con disabili gravi come la mia alcun tipo di aiuto concreto, intendo dire personale qualificato che sia capace di prendersi cura di Natale in mia assenza. 

Se lo Stato ci aiutasse nel modo giusto per noi madri “speciali” sarebbe tutto più semplice”.

 

L’assegno di cura non lo prende?

“Certo, lo prendo, ma mi permette appena di remunerare una persona per le 6 -8 ore strettamente necessarie al lavoro, non di più. Invece le mamme di bambini complessi spesso di notte non dormono, devono svegliarsi di continuo per aspirare le secrezioni dei propri figli, per somministrare le terapie e per risolvere tutte le emergenze che possono presentarsi quando si ha a che fare con peg e tracheostomie. Nonostante questo la mattina vanno a lavorare, pur di sentirsi ancora, in qualche modo, inserite nel mondo.

E non si può pretendere che i datori di lavoro ti vengano in contro tutto l’anno. Sono dell’idea che mamme come noi non debbano assolutamente rinunciare al lavoro. Lo Stato deve capire che abbiamo bisogno di un’identità sociale, che il lavoro ci aiuta psicologicamente, perché per qualche ora possiamo non sentire il rumore dell’allarme del ventilatore nelle orecchie, possiamo metterci in relazione con altre persone e non parliamo solo di malattie. Esistono anche le cose normali, i discorsi normali come un’amica che ti racconta della comunione del figlio o delle vacanze. Mamme come me non possono andare in vacanza, perché spostare Natale sarebbe troppo rischioso. Ma parlarne almeno mi distrae, mi rasserena, perché -immersa come sono nel mio mondo fatto solo di medicine e macchinari salvavita- non penso mai che sulla terra possa esistere anche altro. Quando sono a lavoro, insieme alle mie colleghe, mi rendo conto invece che non ci sono solo le malattie e la morte”.

 

Se potessi rivolgerti alle Istituzioni, cosa chiederesti?

“La mia richiesta sarebbe l’assistenza domiciliare h24, studiata in modo tale da alleviare la famiglia della fatica. Un aiuto costante che renda le giornate più semplici, almeno fisicamente, perché nessuno può togliere ad una madre il dolore sconfinato della malattia di un figlio. Natale sta peggiorando molto negli ultimi temi e nessuno può togliermi dal cuore la disperazione che provo davanti alla malattia degenerativa di mio figlio, una malattia che lo consuma giorno dopo giorno senza che io possa fare niente. Però, almeno, avere qualcuno che ti aiuta e ti sostiene sarebbe importante. Deve essere così, se si vuole che le mamme e i papà colpiti da disgrazie come quella che è toccata alla mia famiglia trovino la spinta per andare avanti e continuino a vivere, nonostante tutto”.

 

Che tipo di assistenza servirebbe?

“L’assistenza deve essere qualificata nella gestione dei casi di emergenza; un bambino normodotato puoi lasciarlo nelle mani di persone di fiducia, ma un bambino disabile al cento per cento ha bisogno di persone super esperte. Inoltre dovrebbero essere sempre le stesse, perché cambiare continuamente il personale è assolutamente controproducente e rischioso, in quanto i nostri bimbi li puoi curare solo se conosci molto bene le loro abitudini: non possono parlare e non possono muoversi, se non conosci bene il loro modo di comunicare non li puoi aiutare. Ecco perché il personale deve fare pratica sul singolo paziente, non ci si può improvvisare”.

 

Attualmente stai usando l’assegno di cura per remunerare una persona che ti aiuta nelle 8 ore in cui vai a lavorare? 

Mamma Mina che si prende cura di Natale

“Sì. Da 6 anni ho una badante che però ha già più di 70 anni. Di lei sono molto soddisfatta. A Rimini non ho parenti, non ho altro che questa ancora di salvezza. Ma se si deve assentare, se si ammala ecc. io rimango scoperta. La verità è che, per lo Stato, noi caregiver siano limoni da spremere fino all’ultima goccia, da usare e poi buttare, perché alla fine con un misero assegno di cura se la cavano, mentre se fossero costretti ad internare i nostri figli in una struttura specializzata i costi triplicherebbero. Sono arrivata a sentirmi dire da uno dei medici che ha in cura Natale “Tuo figlio vivrà finché non ti stuferai di lui”. Ma come fa una mamma a stufarsi di suo figlio? I nostri bambini muoiono perché sono condannati da una patologia terminale, non perché noi genitori ci “stufiamo”, per quanto sfinente possa essere la nostra vita. I soldi pubblici vengono sprecati in molti modi, è una cosa questa che sta sotto gli occhi di tutti. Invece io credo che dovrebbero essere impiegati per far fronte ad emergenze serie come la nostra, per metterci nelle condizioni di essere ancora individui, non solo caregiver. Invece come esseri umani siamo condannati all’esilio nelle nostre stesse mura domestiche, all’isolamento sociale. Ti ritrovi sempre solo, tu, tuo marito e tuo figlio a combattere entro le quattro mura di casa, senza che il resto del mondo neanche lo sappia. E spesso le famiglie vanno in pezzi perché il peso da sostenere diventa insopportabile”.

 

Caterina Ceccuti

 

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Forum Sistema Salute 2021: lo Screening Neonatale della MLD https://www.voavoa.org/screening-neonatale-della-mld-al-forum-sistema-salute/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=screening-neonatale-della-mld-al-forum-sistema-salute Sun, 14 Nov 2021 23:18:47 +0000 https://www.voavoa.org/?p=6075 Forum Sistema Salute 2021: lo Screening Neonatale della MLD

Si è svolta a Firenze la VI edizione del Forum Sistema Salute 2021. Un appuntamento di carattere nazionale che si propone di fare il punto sulle principali novità nel campo della salute pubblica e sulle future sfide che la sanità si prepara ad affrontare. Molti i temi portati alla pubblica attenzione nel corso della due giorni che si è svolta in forma ibrida, tra gli spazi dell’ex Stazione Leopolda di Firenze e in diretta streaming.

Esperti, politici, amministratori, manager del settore della Sanità pubblica e privata si sono confrontati attraverso dibattiti, interviste, tavole rotonde, nel tentativo di approfondire tematiche di primaria importanza come le criticità attuali e le future prospettive della Sanità all’epoca del Covid, o quali sfide ed opportunità il Servizio Sanitario Nazionale si appresta ad affrontare in vista del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza.

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Forum Sistema Salute 2021: lo Screening Neonatale della MLD

Si è svolta a Firenze la VI edizione del Forum Sistema Salute 2021. Un appuntamento di carattere nazionale che si propone di fare il punto sulle principali novità nel campo della salute pubblica e sulle future sfide che la sanità si prepara ad affrontare. Molti i temi portati alla pubblica attenzione nel corso della due giorni che si è svolta in forma ibrida, tra gli spazi dell’ex Stazione Leopolda di Firenze e in diretta streaming.

Esperti, politici, amministratori, manager del settore della Sanità pubblica e privata si sono confrontati attraverso dibattiti, interviste, tavole rotonde, nel tentativo di approfondire tematiche di primaria importanza come le criticità attuali e le future prospettive della Sanità all’epoca del Covid, o quali sfide ed opportunità il Servizio Sanitario Nazionale si appresta ad affrontare in vista del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza.

Tra i numerosi eventi della due gioni, anche le tematiche riguardanti le Malattie Rare, rappresentate dagli Stati Generali delle Malattie Rare svoltosi in modalità online, dal RareHack 2021 e dal Rare Diseases Award organizzati dalla Federazione Nazionale delle Associazioni per le Malattie Rare, UNIAMO.  Presente in questa importante cornice anche Voa Voa! Amici di Sofia, insieme ai responsabili clinici, tecnici e istituzionali del percorso regionale di Screening Neonatale, per fare il punto della situazione sulla diagnosi precoce delle malattie metaboliche rare e sull’avvio della prima sperimentazione al mondo di screening neonatale della MLD, finanziato dalla nostra Associazione.

Alla tavola rotonda moderata da Caterina Ceccuti, giornalista e vice presidente di Voa Voa! Amici di Sofia, hanno partecipato: Giancarlo la Marca, responsabile del Laboratorio di Screening Neonatale dell’AOU Meyer di Firenze; Cristina Scaletti, responsabile clinico della Rete regionale Malattie Rare; Carlo Dani, coordinatore della Rete Punti Nascita della Regione Toscana; Elena Procopio, responsabile Dh Malattie Metaboliche Muscolo-Ereditarie dell’Aou Meyer e Guido De Barros, presidente dell’Associazione Voa Voa! Amici di Sofia aps, che si è fatta promotrice e finanziatrice dell’intero progetto.

C. Ceccuti, G. De Barros, C. Dani, E. Procopio, G. la Marca

Ma prima di avventurarci nell’approfondimento scaturito dalla tavola rotonda, un breve cenno alla patologia, alla sua incidenza sulla popolazione, alle drammatiche conseguenze e, soprattutto, alle recenti possibilità terapeutiche. La Leucodistrofia Metacromatica è una malattia genetica, neuro-degenerativa progressiva, appartenente al gruppo delle malattie da accumulo lisosomiale e causata dal deficit di un enzima deputato al metabolismo cellulare dei sulfatidi, una categoria di sostanze che se non vengono metabolizzate diventano tossiche per l’organismo. Lo stato patologico è caratterizzato proprio dall’accumulo di questi sulfatidi in alcuni tessuti, in particolare nella guaina mielinica che, come sappiamo, avvolge e protegge le cellule nervose. Di qui la drammatica conseguenza della neuro-degenerazione. A seconda dell’età di insorgenza e della gravità dei sintomi si distinguono quattro principali forme cliniche, tra le quali la più frequente è proprio la più aggressiva, ossia la così detta “tardo-infantile”. In questo caso l’insorgenza dei sintomi si verifica tra i 6 mesi e 2 anni e mezzo di età, e la drammatica beffa del destino è che i bambini nascono e crescono fino ad allora apparentemente del tutto sani. Ma una volta manifestatisi i sintomi, la progressione della patologia comporta il rapido deterioramento delle funzioni motorie e neuro-cognitive: i piccoli iniziano improvvisamente e rapidamente a perdere la capacità di parlare, camminare, muoversi mentre nella fase terminale della malattia riescono a malapena a spostare gli occhi, non deglutiscono, a fatica respirano da soli, perché anche sollevare lievemente la cassa toracica è diventata per loro un’impresa titanica.

Nel 2020 però l’Agenzia del Farmaco Europea ha riconosciuto come valida ed efficace la terapia genica sperimentata dal 2010 all’Ospedale San Raffaele di Milano, che prevede un trapianto di midollo con cellule autologhe dello stesso paziente, modificate in laboratorio di modo da correggere il difetto genetico che provoca la malattia. Il risultato della terapia, attualmente l’unica risolutiva al mondo per la Leucodistrofia Metacromatica (MLD), è il massimo auspicabile: il piccolo paziente non svilupperà mai i sintomi della patologia, e sarà dunque in grado di condurre un’esistenza normale. La notizia è fantastica, il risultato scientifico straordinario e finalmente, dopo moltissimi anni di ricerca e sperimentazioni a vari livelli e in varie parti del mondo (si pensi alla terapia di sostituzione enzimatica in Francia, che purtroppo non ha risolto il problema), i futuri pazienti e l’intera comunità scientifica potranno finalmente festeggiare la sconfitta di una patologia devastante, per la quale fino a questo momento non è mai esistita alcuna cura farmacologica né genica efficace. Peccato però che esista una piccola postilla all’esultanza collettiva: la terapia in questione si rivela efficace solo ed esclusivamente se somministrata prima dell’insorgenza dei sintomi, ossia entro l’anno di età. Altrimenti, una volta innescato il processo infiammatorio e neuro-degenerativo, neanche Libmeldy (la terapia genica del San Raffaele) è in grado di arrestarlo.

Purtroppo, ad oggi, non esiste alcun modo per scoprire se una famiglia qualsiasi, comprese quelle che non hanno mai avuto casi di malattie geneticamente trasmissibili nel proprio albero genealogico, non siano in realtà portatrici di MLD (lo stato di portatore è abbastanza allarmante, perché si attesta sull’1% della popolazione, secondo lo studio di Kolodny et al. 2001 e Lugowska et al. 2011). Un bambino che ne risulti affetto, come si diceva, nasce e cresce perfettamente sano per un certo periodo. Dunque, come fare per diagnosticare in tempo utile una patologia tanto subdola? Concretamente, l’unico modo è la diagnosi precoce neonatale, attraverso uno screening effettuato a tappeto su tutta la popolazione. «I criteri perché il test neonatale per la MLD venga inserito nel pannello di screening obbligatorio alla nascita ci sono tutti -spiega il responsabile del Laboratorio di Diagnosi precoce dell’Ospedale Meyer Giancarlo la Marca-: la patologia deve rappresentare un importante problema di salute; deve poter essere individuata precocemente e non solo su base clinica; deve essere suscettibile di trattamento efficace che consenta un outcome migliore nei pazienti trattati precocemente (Wilson e Jungner, 1968). Nel 2015, grazie ad un primo finanziamento da parte di Voa Voa Onlus Amici di Sofia, siamo riusciti a sviluppare un test che risponde ai criteri di ammissione, in anticipo sul resto del mondo. Adesso siamo pronti per partire con il progetto pilota, che durerà 3 anni e interesserà tutti i nuovi nati della Toscana, previo consenso informato da parte dei neo genitori».

Verosimilmente, salvo intoppi burocratici, il progetto dovrebbe partire già a gennaio 2022. La durata di 3 anni è dovuta alla cadenza della patologia sulla popolazione (un malato ogni 100.000 nati, tenendo conto che in Toscana nascono mediamente 25.000 bambini l’anno e che il progetto deve includerne almeno 75.000-80.000 per sperare di permettere la diagnosi di almeno un futuro malato). Anni di lavoro e di pazienza dunque, hanno portato a quello che a tutti gli effetti rappresenta un traguardo scientifico -oserei dire prima ancora civile e democratico che permetterà la cura di tutti i malati futuri- tanto grande quanto quello dell’ufficializzazione della cura stessa.

«Fino a questo momento infatti -puntualizza Guido De Barros, presidente dell’Associazione finanziatrice del progetto-, hanno potuto accedere alla fase sperimentale della terapia solo i fratelli minori di bambini già malati, laddove i maggiori -ammalandosi- hanno permesso l’identificazione a livello genetico della patologia nella famiglia. Una vera e propria ingiustizia, si potrebbe dire, che ha visto gli stessi genitori assistere alla degenerazione e alla morte del figlio maggiore, mentre al minore veniva somministrata una cura risolutiva. Purtroppo, infatti, al momento in cui i sintomi della patologia insorgono, non è più possibile intervenire, poiché il processo infiammatorio e intossicante ha ormai raggiunto un livello tale da rendere inefficace persino la terapia Libmeldy».

«Attualmente -sono le parole di la Marca- lo screening alla nascita rappresenta la forma più efficace di prevenzione e cura della MLD. La mia speranza è che, una volta concluso il progetto pilota, altre regioni d’Italia -poi del mondo- scelgano di inserire lo screening nel proprio pannello. Ma dobbiamo ragionare per gradi. Prima di tutto è necessario sensibilizzare i futuri genitori sull’importanza di partecipare al progetto pilota, firmando il consenso informato che permetterà al Laboratorio di screening di analizzare anche i markers della MLD da quell’unica goccia di sangue prelevata al punto nascita dal tallone del neonato».

Prof Carlo Dani durante l'intervento al Forum Sistema Salute 2021
Prof Carlo Dani

«Un passaggio questo che non è né scontato né semplice, purtroppo –è il commento del direttore dei 23 punti nascita della Toscana, prof. Carlo Dani-. Il personale ospedaliero deve infatti istruire i genitori di ciascun neonato sul senso di quel plico di fogli che gli andremo a presentare, e che loro dovranno firmare per consentire la partecipazione al progetto pilota. Spesso ci troviamo di fronte a famiglie di origine straniera, che non capiscono completamente la nostra lingua e che si trovano dinanzi a parole complicate come Leucodistrofia Metacromatica ed altri termini scientifici. Cerchiamo di mettere a loro disposizione interpreti di varie lingue per ovviare a questo problema, ma purtroppo anche tra gli italiani esiste talvolta una certa resistenza nel concedere il consenso (fortunatamente rara). In questi casi non si parla di cattiveria da parte dei genitori, sia chiaro, piuttosto di disinformazione, di mancata comprensione del senso di progetti pilota come questo, in termini di prevenzione e salvaguardia della vita di un neonato. È capitato per esempio che durante i tre anni di progetto pilota portato recentemente avanti per la diagnosi precoce della SMA1, una coppia di genitori non abbia firmato il consenso informato e che, purtroppo, a distanza di tempo il loro bambino abbia sviluppato la patologia. Adesso sfortunatamente per lui non esiste possibilità terapeutica, perché senza una diagnosi precoce, questo genere di patologie non solo è incurabile, ma inarrestabile. Altri quattro genitori che invece avevano firmato il consenso, hanno ricevuto la diagnosi tempestiva e hanno potuto curare tempestivamente i loro figli».

Quello che si sta svolgendo da alcuni anni a questa parte, nel silenzio di un laboratorio fiorentino e nell’intensa opera di sensibilizzazione e raccolta fondi da parte di Voa Voa Amici di Sofia aps, è un prezioso lavoro di squadra, di valenza internazionale, che ha richiamato su di sé l’attenzione della comunità scientifica di tutto il mondo ma che, adesso, deve trasformarsi in un messaggio comprensibile e trasmissibile a tappeto nella popolazione -prima di tutto toscana- per l’adesione allo screening tramite consenso informato.

«Anche una volta avviato il progetto pilota -spiega Guido De Barros- l’opera della nostra associazione non potrà dirsi conclusa, perché dovremo continuare la raccolta fondi per sostenerlo fino al completamento. Invito chi fosse interessato ad approfondire il tema e sostenerci a visitare il sito www.goccedisperanza.it. Alla fine -conclude De Barros- io sono solo il padre di una bambina che nel 2011 ha ricevuto la diagnosi di MLD e che, purtroppo, proprio perché lo screening neonatale per questa patologia al tempo non esisteva ancora, non ha potuto permettere alla propria figlia di accedere alla terapia che, diversamente, le avrebbe salvato la vita. E come Sofia sono stati moltissimi i bambini fino ad oggi rifiutati a causa dell’inefficacia della cura su pazienti già sintomatici. Il riscatto alla vita di sofferenza che mia figlia Sofia ed altri come lei hanno condotto per diversi lunghi anni, può derivare solo ed esclusivamente dalla gioia profonda di sapere che, d’ora in poi, non esisteranno mai più bambini malati, ma solo curati».

Ringrazio Giuseppe Orzati e Monica Milani, responsabili di Koncept, agenzia di riferimento nella comunicazione e realizzazione di eventi nel settore della Sanità, per aver riconosciuto l’importanza della tematica proposta, e voluto includere il progetto regionale di Screening Neonatale della MLD tra gli eventi della VI edizione del Forum Sistema Salute.

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Il Comune di Firenze omaggia la piccola Sofia De Barros https://www.voavoa.org/il-comune-di-firenze-omaggia-la-piccola-sofia-de-barros/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-comune-di-firenze-omaggia-la-piccola-sofia-de-barros Sun, 16 Aug 2020 22:46:33 +0000 https://www.voavoa.org/?p=5885 Il Comune di Firenze omaggia la piccola Sofia De Barros

L'iniziativa nasce dalla volontà di omaggiare l’infanzia colpita da un male raro incurabile attraverso la storia di Sofia diventata suo malgrado simbolo della lotta strenua e spesso invisibile di bambini e famiglie colpite da una diagnosi rara e infausta.

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Il Comune di Firenze omaggia la piccola Sofia De Barros

Il 9 settembre alle 17:00 saranno presenti autorità regionali, comunali e di quartiere per la cerimonia di intitolazione a Sofia dell’area giochi del Galluzzo, in Viale Tanini.

L’iniziativa che ha trovato il consenso del Comune di Firenze ed il plauso della cittadinanza, nasce dalla volontà di omaggiare l’infanzia colpita da un male raro incurabile attraverso la storia di Sofia diventata suo malgrado simbolo della lotta strenua e spesso invisibile di bambini e famiglie contro una malattia rara e incurabile. Nella stessa cerimonia sarà inaugurato anche il nuovo gioco inclusivo donato dall’Associazione Voa Voa! Amici di Sofia al Comune di Firenze.

 

Il Comune di Firenze intitola a Sofia De Barros l’area giochi del Galluzzo in viale Tanini. L’Associazione Voa Voa! Amici di Sofia dona alla Comunità un nuovo gioco inclusivo.

Nelle parole di Guido De Barros, papà di Sofia, il senso più profondo di questa iniziativa.

Chi mi conosce sa quanto ci tengo, quando si è genitori non si smette mai di esserlo. Caterina ed io abbiamo salutato Sofia quasi tre anni fa, ma non è mai stato un “addio”. Come si fa a dire addio a qualcuno che è presente in tutto quello che si fa e si è, dalla più intima riflessione all’idea di un nuovo progetto?
Sofia non è un ricordo del passato, ma la vita che scorre nelle vene e raggiunge ogni cellula del corpo.

Certo queste sono le parole di un babbo che non ha mai smesso di cullare la sua piccola con parole, gesti e ricordi, ma qualcuno potrebbe chiedersi, perché intitolare un’area giochi ad una bambina? Perché ostinarsi a ricordare la vita spezzata di una bimba che ha fatto in tempo soltanto a dire “Mamma”, “Babbo”… “Voa Voa”?
Sofia non è stata miracolata come avremmo voluto, detto o fatto nulla per gli altri, negli anni di malattia si è limitata a patire come tanti bambini vittime di una diagnosi infausta. E allora, quali sono il valore, la scoperta, il beneficio lasciati all’umanità che possano giustificare l’intitolazione di un luogo pubblico a suo nome, quando tutti sanno che un simile tributo è riservato solo a coloro che in vita hanno lasciato un segno nella storia?

A lungo il nome di Sofia è stato persino legato ad una bagarre mediatica che ha diviso le istituzioni e milioni di italiani. La battaglia che abbiamo condotto per Sofia, ha lasciato nella nostra famiglia segni tanto profondi quanto la malattia, amplificando il dolore e inasprendo il nostro calvario.
Sofia ci ha lasciati il 30 dicembre del 2017. Erano le 22 circa quando l’infusione di morfina ha allentato il suo corpo, stressato dalla tensione e deformato da anni di spasmi. Abbiamo dovuto ringhiare agli infermieri per ritagliarci un ultimo momento di intimità con nostra figlia. Quegli attimi sarebbero stati gli ultimi in cui avremo potuto tenerla stretta a noi, in collo a mamma e babbo com’era sempre stata negli ultimi sette anni. Abbiamo pianto sì, a denti e occhi stretti, un pianto afono che non voleva darla vinta alla al cinismo di un protocollo ospedaliero.

Chi giaceva morente tra le nostre braccia era nostra figlia e dovevamo continuare a lottare per la sua dignità. Avremmo preferito essere a casa, circondati dai suoi peluches piuttosto che dai monitor e dagli elettromedicali della terapia intensiva. Avremmo voluto che l’ultimo respiro esalato fosse stato nell’aria della sua cameretta, profumata di lavanda. Neanche questo ci è stato concesso, nonostante la “presa in carico” dell’equipe di cure palliative fatta agli inizi di novembre, ma questa è un’altra storia…

Allora ci si chiederà: Cosa ci lascia Sofia?
Nel significato del suo nome è racchiusa la risposta, ed è proprio attraverso la Fede, la Speranza e la Carità che possiamo convertire il dolore, l’indifferenza, la divisione, la frustrazione e la perdita, in energia vitale e morale per cambiare la realtà.

Il percorso umano di Sofia è noto oltre i confini toscani, ed il valore della sua testimonianza di amore e coraggio vive nel ricordo di milioni di italiani rendendola un volto rappresentativo di Firenze, condizione avvalorata dalla presenza dei suoi resti mortali al Cimitero Monumentale della Porte Sante di San Miniato al Monte, onore concesso alle personalità che in vita hanno portato lustro alla città come sottolineato dalle parole del Sindaco di Firenze, Dario Nardella nel discorso di apertura ad una giornata di studi sulla Basilica Olivetana.

Riconosciuto come Cimitero significativo d’Europa, il Cimitero delle Porte Sante è un luogo speciale per diversi motivi. Venne progettato da Niccolò Matas (l’architetto della facciata di Santa Croce), e poi ampliato, parallelamente al piano urbanistico di Giuseppe Poggi per Firenze Capitale. È uno dei più grandi cimiteri monumentali della Toscana, di sicuro quello più panoramico. Entrarvi permette di compiere un affascinante viaggio nella storia e nella cultura di Firenze e dell’Italia, di attraversare una sorta di Spoon River fiorentina che racconta di uomini che, con le loro azioni e l’originalità del loro pensiero, hanno lasciato un segno nella cultura e nella vita della città; un luogo dei ricordi dove tanti vengono a lasciare un fiore in omaggio a storie toccanti, come quella della piccola Sofia, perché qui vengono sepolti i fiorentini (di nascita o adozione) che per le loro opere, le loro convinzioni, la loro testimonianza meritano un ringraziamento da parte della città.

Affinché queste emozioni, estreme e spiazzanti, non siano solo parole, è necessario dare un volto ad un concetto, ed ecco che nel viso tondo e dolce di Sofia cerchiamo di racchiudere una realtà invisibile che accomuna le migliaia di bambini e genitori che si prendono cura giorno dopo giorno di un figlio vessato da una malattia incurabile ad esito infausto. Per anni, a volte decenni, in nome dell’amore si compiono sacrifici indescrivibili che restano del tutto oscuri al resto della società.

I genitori caregiver sono gli eroi del silenzio, i Don Chichotte della sanità che combattono contro i mulini a vento della burocrazia e della politica, nella speranza di avere riconosciuti diritti inalienabili, sanciti nelle convenzioni internazionali, nelle costituzioni, nelle dichiarazioni dei diritti dell’uomo, del malato e perfino del bambino morente.
Una società che abbraccia le minoranze è una società inclusiva, che non lascia indietro il più debole e che nel scegliere una destinazione, calcola una meta che tutti saranno in grado di raggiungere. Non possiamo dimenticarci degli ultimi, dei bambini che non hanno avuto la fortuna di nascere e crescere sani o di aspirare ad una cura.
Nonostante l’Area Giochi di Viale Tanini resterà la stessa di prima, salvo il nuovo gioco inclusivo donato da Voa Voa alla Comunità, mi piace immaginare che possa diventare un luogo di empatia e solidarietà verso le famiglie sconosciute, che non vi metteranno mai piede perché genitori di bambini colpiti da una disabilità non compatibile per fragilità e gravità, con un pomeriggio spensierato all’aria aperta.

Sofia ha visto la luce due volte, nel momento del parto e della nascita in cielo. Il nove settembre, a pochi giorni dal suo undicesimo compleanno risplenderà nel ricordo di tanti che non l’hanno mai dimenticata e di coloro che attraverso la sua testimonianza potranno giocare con i propri figli, insieme ai bambini #rarinonivisibili.

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Il sostegno psicologico alle Famiglie in tempo di COVID19 https://www.voavoa.org/il-sostegno-psicologico-alle-famiglie-in-tempo-di-covid19/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-sostegno-psicologico-alle-famiglie-in-tempo-di-covid19 Thu, 14 May 2020 14:24:38 +0000 https://www.voavoa.org/?p=5848 Il sostegno psicologico alle Famiglie in tempo di COVID19

Il dott. Matteo Panerai di Mind Practice, psicoterapeuta collaboratore Voa Voa, si rivolge alle Famiglie Speciali spiegando in cosa consiste il suo intervento nell'ambito del progetto "Proteggi una Famiglia Rara".

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Il sostegno psicologico alle Famiglie in tempo di COVID19

Il dott. Matteo Panerai di Mind Practice, psicoterapeuta collaboratore Voa Voa, si rivolge alle Famiglie Speciali spiegando in cosa consiste il suo intervento nell’ambito del progetto “Proteggi una Famiglia Rara”.

 

All’improvviso ci siamo trovati tutti di fronte ad un’esperienza che mai e poi mai nessuno si sarebbe mai aspettato.
Le settimane trascorse a casa, in isolamento, ci hanno messo a dura prova sotto molti punti di vista, non solo economico ma anche emozionale e relazionale.
Siamo animali sociali e come tali ci siamo comportati finchè il covid19 ci ha imposto di rivedere tutte le nostre abitudini e stili di vita.

L’isolamento del coronavirus può veramente ripercuotersi sulla nostra mente e di riflesso sul nutro corpo? Il distanziamento sociale può portare a effetti psicologici e fisiologici spiacevoli?

La risposta è si, infatti l’impatto dell’isolamento sociale sui nostri corpi e sulle nostre menti non sono un argomento di studio nuovo nel mondo scientifico. Basti pensare agli astronauti, ai incarcerati, ai bambini immunocompromessi, ai ricercatori antartici o agli anziani.
Questi sono solo alcuni esempi di categorie di persone verso le quali la comunità scientifica si è rivolta, in passato, per trovare soluzioni a problemi apparentemente senza via d’uscita. I modelli che sono emersi dalle esperienze con solitudine radicale, dei gruppi sopra elencati, hanno letteralmente illuminano i modi per comprendere e migliorare gli effetti negativi generati da situazioni stressanti prolungate.

Con il preciso scopo di poter alleviare le più comuni problematiche provocate dalla situazione che stiamo vivendo, l’Associazione Voa Voa  ha messo a punto il progetto “Proteggi una Famiglia Rara” che si avvale dell’esperienza maturata  nell’ambito  del sostegno ai genitori caregiver già messi alla prova dall’assistenza quotidiana ed ininterrotta di un figlio non autosufficiente affetto da una malattia pediatrica rara life lmiting.

Ma cosa fa uno Psicologo? A distanza per di più?

Verranno prese in carico tutte quelle persone che hanno avvertito sensazioni di disagio durante il periodo di isolamento o che hanno percepito l’aggravarsi di situazioni che già esistevano. Nello specifico:

– Sentimenti di paura
– Disorientamento
– Rabbia
– Svuotamento emotivo e rassegnazione
– Gestione della rabbia
– Senso di abbandono
– Perdita di interesse verso l’esterno
– Stati di ansia
– Stati depressivi

Come si svolgono gli incontri? Dopo aver concordato con il professionista ora e giorno, l’incontro si svolgerà online (WhatsApp web, Skype, Zoom, FaceTime).

Ogni incontro ha una durata variabile a seconda delle necessità.

Per quanto tempo posso avvalermi di questo servizio? Questo tipo di intervento è mirato al sostegno e alla gestione del problema nell’immediato perciò verranno pattuiti, dopo il primo incontro, quanti appuntamenti saranno necessari. In linea di massima da un minimo di 3 ad un massimo di 5, sufficienti a stabilire l’obiettivo, metterlo a fuoco e trovare le strategie necessarie per gestirlo.
Le sfide della vita sanno essere difficili finche trovi il modo di affrontarle e combatterle senza abbassare la testa.

Questa sfida la affrontiamo insieme.

 

Dr. Matteo Panerai
MIND PRACTICE®
Viale Giovanni Milton 15 Firenze
Italia +39-3205626911
USA   +1(415)4665848
www.mpmindpractice.com

✅ MODULO PARTECIPAZIONE FAMIGLIE: https://forms.gle/LkJvkc1jseNBxKA56

✅ ARTICOLO PROGETTO: https://www.voavoa.org/proteggi-una-famiglia-rara-covid19/

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#rarinoninvisibili #covid19 #credereamareresistere #voavoa #sostienivoavoa

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