Il ritorno a scuola dei bambini #rarinoninvisibili

- Redazione

Settembre, il ritorno a scuola, fra disservizi e diseguaglianze, dei bambini #rarinoninvisibili, raccontato dalle Famiglie Voa Voa. Eppure, sui molti campi regolamentati dalla legge 104/92, pensata per disciplinare l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone disabili, con relativo adeguato sostegno alle famiglie, vi è proprio la scuola e l’istruzione, definita nello specifico all’articolo 12, quale “diritto tutelato dall’asilo all’università”. Recupero e socializzazione del bimbo che dovrebbe essere garantita da insegnanti abilitati e assistenti specializzati nelle scuole di ogni ordine e grado, come sottolinea l’articolo 13 in più punti. Legge che purtroppo, molto spesso, nella sua applicazione contrasta con la realtà. In molte scuole di diverse regioni, ad esempio, sono risultati infatti assenti all’appello proprio gli assistenti, il cui compito è quello di garantire autonomia agli studenti disabili.

Un brano della chat Whatsapp “Finestra su Casa Voa Voa”

E tra ritardi e incertezze, aumenta in queste famiglie il senso di solitudine e isolamento, che Finestra su Casa Voa Voa raccoglie e riporta.

“Ho appena lasciato Francesco (affetto da lipodistrofia) all’asilo – racconta Mamma Daniela – e già sono arrabbiata perché il docente di sostegno c’è, ma manca l’assistente Asl. Ho sentito la novità che vogliono dare le assistenze al bisogno: ma se non ha bisogno Francesco, allora chi? Quest’anno si ricomincia con un’altra guerra…”.

Anche le cose più semplici, come il cambio di un pannolino, per questi bambini e le loro famiglie, afflitti oltre che dalla malattia anche dal ‘conflitto di competenze’ degli operatori, diventa un problema.

“Almeno fino a giugno scorso spettava ai custodi della scuola provvedere a cambiarlo – spiega mamma Daniela -. Qui i bidelli non lo fanno e allora se ne occupa l’assistente. Ma se manca l’assistente, l’insegnante di sostegno non si prende certo la briga di farlo. Così ti chiamano e devi andare tu all’asilo a cambiarlo. Sono indignata da tutto questo rifrullo di persone, ma mi sono dovuta arrendere perché la legge delle competenze è questa”.

Sempre la legge 104/92, all’articolo 8, sottolinea l’importanza di disporre di adeguate dotazioni didattiche e tecniche. Invece per la piccola Aurora, affetta da neurodegenerativa ignota, la scuola anche quest’anno è ricominciata tra tante difficoltà:

“È stato possibile integrarla nelle attività fino alle elementari – spiega Mamma Valentina – ma ho dovuto supplicare per l’aula morbida, perchè l’aula di sostegno non è obbligatoria per legge: invece deve esserlo!”.

 

Dall’aula di sostegno, che pur non essendo ‘obbligatoria per legge’, risulta invece essenziale per tutti i bambini Speciali, ad un diritto ignorato, quello del seggiolino per il trasporto auto, come lamenta Chiara, mamma di Gabriele (sindrome assimilabile alla Klinefertel):

 “Lele va in seconda qui a Lucca– spiega Mamma Chiara -. Non sappiamo né quante ore di sostegno avrà, né per quante ore sarà coperto il venerdì, né se avrà la stessa insegnante dell’anno scorso. Inutile dire che alle tre mail Pec per la continuità didattica, la prima scritta peraltro ad aprile, a cui il DS avrebbe dovuto rispondere entro trenta giorni, non ho ricevuto risposta. Speriamo di ricevere almeno fatti concreti: la cattedra piena e la continuità, come di diritto. Da quest’anno ho fatto anche domanda per il trasporto scolastico, ovviamente personalizzato, perché uno dei problemi ‘insormontabili’ per la scuola, era il seggiolino auto di cui sono sprovvisti. E da qui già s’intuisce quanti bambini abbiano usufruito del servizio…Problema che ho risolto io stessa chiedendo un seggiolino in prestito a un’altra mamma, perché evidentemente la Asl non riteneva che Lele avesse necessità di un ausilio di questo tipo, pur essendo affetto da scoliosi, ipotonismo ecc”.

Tra i commi della legge, si prevede poi che per ogni studente disabile  venga realizzato un profilo dinamico-funzionale preposto alla formulazione di un Piano Educativo Individualizzato sulla base delle caratteristiche fisiche, psichiche, sociali ed affettive dell’alunno, così che le difficoltà di apprendimento vengano superate, e le capacità individuali e di recupero, sostenute e rafforzate.

Ma anche questo, nella realtà, molto spesso non trova riscontro, come spiega mamma Valentina:

“Aurora adesso frequenta la terza media ma non a tempo pieno, perché negli anni la sua condizione si è aggravata. Lo fa per due ore, tre volte a settimana, in compresenza del docente di sostegno e dell’assistente. Quanto al sostegno, va meglio quando c’è un insegnante di Educazione Fisica, mentre con le altre materie è un dramma…”.

 

Stessa situazione di diritti negati per il piccolo Francesco (lipodistrofia):

“Anche se ora ha 6 anni – spiega mamma Daniela con la neurologa abbiamo deciso di lasciarlo ancora un po’ all’asilo, dov’è seguito da una maestra di sostegno per 25 ore settimanali e da un assistente che lo vigila per 18 ore. Quest’anno ho fatto richiesta alla Provincia di un educatore linguistico, 12 ore settimanali, che prima erano a casa, ora a scuola. Francesco ne ha diritto avendo un’ipoacusia bilaterale e dunque una riduzione uditiva, ma non ho ricevuto ancora risposte. Siamo abbandonati al nostro destino, e per ottenere qualcosa che è un loro diritto dobbiamo lottare con le unghie e coi denti”.

 

Il piccolo Natale, affetto da Leucodistrofia Metacromatica, come ha riferito Mamma Mina: “Nonostante le mille difficoltà ha frequentato un po’ di nido e materna, ma dopo che le sue condizioni si sono aggravate, si è passati all’educatore domiciliare: in tutto due ore al giorno per 10 ore settimanali”.

Ed eccolo al suo primo giorno di scuola:

Il primo giorno di scuola di Natale.

Da una parte esigenze diverse per bambini speciali diversi. Dall’altra

“le leggi che tutelano i nostri figli disabili, per cui bisogna imporsi per farle rispettare – sottolinea Mina -. Perché non sarebbe giusto, altrimenti, tenere i nostri figli reclusi e privarli di ogni esperienza di vita”.

 

E infatti, quando l’assistenza funziona, le piccole grandi soddisfazioni non mancano.

 

“Oggi Mati  inizia a domicilio – riferisce Irene, mamma della piccola Matilde, affetta da variante sindrome di Rett . La professoressa di disegno  le ha fatto la tabella del mese di

settembre, con i giorni e le stagioni. Scriviamo chi viene, con la foto, e il tempo che fa”.

 

In questo video invece Daniela mostra Francesco con la sua terapista a casa, a pagamento.

“Almeno con lei lavora – dice -. Qui lo sta stimolando sui colori”. 

VIDEO

E per una mamma che non si è sentita ancora pronta al “distacco ombelicale” come Mamma Valentina, che ammette di aver fatto slittare la scuola per tenere sempre, ogni giorno e ancora per quest’anno, la sua Chiara (ipomielinizzazione) accanto a sé, c’è chi, come per la piccola Sofia, affetta da leucodistrofia, la scuola è fatta di gesti e carezze a casa guidate dall’educatrice.

 

“Per Sofia – spiega Mamma Caterina – andare all’asilo o a scuola è impensabile, perché le è impossibile stare seduta abbastanza, anche adesso che la patologia è avanzata e ha un sistema posturale ricavato su calco della sua scoliosi. Alcuni giorni lo accetta per mezz’ora, altri un’ora abbondante, altri per niente. Piange, grida e ruota su se stessa fino a storcersi tutta. L’abbiamo tenuta a casa fino all’età della prima elementare, quando dalla Direzione Scolastica regionale arrivò la lettera a casa con l’ammonimento del non aver portato nostra figlia a scuola. Non sapevano fosse malata, pensavano di rivolgersi a una bambina sana. Da quel momento abbiamo avuto ben chiaro che Asl, Inps, Meyer, Comune e Direzione Scolastica non comunicano minimamente tra loro! E abbiamo tristemente scoperto che se lo avessero fatto, avrebbero potuto offrire a Sofia già da anni un’educatrice a domicilio, come previsto in casi gravissimi come il suo. Dopo mille battaglie e sfinimento, da maggio scorso abbiamo ottenuto un’educatrice che viene a casa per 2 ore, 2 volte a settimana. Insieme a lei, che è una persona deliziosa, Sofia sperimenta giochi nuovi, adatti a una bimba  invalida al cento per cento, affetta anche da cecità. Fa giochi di stimolazione sensoriale e propriocettiva, si comincia con massaggi e spazzolate su braccia e mani, per arrivare a fare disegni con la mano guidata, carezze sui peluche, fino a toccare consistenze diverse, tipo mettere le mani nel miele o nei pisellini Primavera”.

 

 

E per un’educatrice volentierosa, come quella che si occupa di Sofia, altre invece, assai meno scrupolose, hanno fatto accumulare diverse esperienze negative a molte mamme. Quella di estendere l’attività educativa con proposte extrascolastiche, sancita dall’articolo 8, non sempre si traduce in una buona pratica. E infatti mamma Luisa lamenta:

“Federica (Leucodistrofia Metacromatica) non può andare a scuola per via della malattia avanzata, ma il mio ultimo pensiero è fare richiesta per ottenere un servizio a casa. Non mi va di vedere altra gente che viene a casa solo per un caffè, ma che alla fine non farà nulla”. “Capita, e anche di frequente – aggiunge Mamma Luisa – che si siedano e rimangano fermi a guardare con commiserazione, invece di industriarsi. A me basta che si diano da fare. Non pretendo la Luna, solo che considerino Sofia una bambina, non un aggeggio silenzioso che non merita attenzione.”

 

Anche per chi va alle superiori le situazioni di difficoltà non mancano. Perché se l’articolo 15 della 104/92 prevede l’istituzione di appositi gruppi di lavoro, i cui membri hanno il compito di collaborare nelle attività organizzate per integrare gli alunni con difficoltà di apprendimento, le impressioni che ne ricavano i genitori sono diverse.

 

“Fino a quando Letizia (neurodegenerativa sconosciuta) ha potuto frequentare le elementari e le medie  – spiega Mamma Cinzia – ha avuto la sua insegnante di sostegno. Da due anni è alle superiori e qui si sono alternati insegnanti di sostegno di ruolo con l’educatrice che l’ha seguita dalle medie. La continuità per loro è doverosa e potrei dire: obbiettivo raggiunto! Ma non è tutto rose e fiori, perché la continuità fa stancare gli operatori, e a volte l’impressione è che Letizia venga parcheggiata, cosa che purtroppo non possiamo accertare. Quest’anno c’è stato anche proposto un lavoro di gruppo, che detto così sembra una cosa carina ma…visto l’inserimento nella stessa scuola di alti ragazzi disabili, l’idea sembrerebbe essere quella di spendere qualche ora di Letizia con la sua insegnante per fare lavoro di gruppo. E allora mi viene da pensare che se già Lety non ha fatto granchè l’anno scorso, con questa formula farà ancora meno. Tutto ciò per risparmiare qualche ora di sostegno…”.

 

Nonostante il concetto “dell’istruzione come tramite per l’integrazione sociale” venga ribadito in più punti nel testo della legge, c’è poi un altro fardello, quello della solitudine, che neanche la scuola in certi momenti sa e può colmare.

 

“Noemi (Còrea di Huntington) è il terzo anno che non frequenta più la scuola – racconta Mamma Silvia – ma per fortuna la sua insegnante ha mosso mari e monti per farle avere l’educatrice a domicilio per 6 ore settimanali, che mi hanno assicurato rimarrà sempre la stessa per tutti gli anni della scuola dell’obbligo. Noemi si rende benissimo conto di non essere come gli altri bambini, infatti non vuole neanche che vengono a casa a trovarla, anche solo per giocare un po’.

 

Il rischio concreto, quando le cose non funzionano come dovrebbero, è che la scuola, da luogo di integrazione come sancito dalla suddetta legge, che ha come obiettivo lo “sviluppo delle potenzialità della persona disabile nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione (art. 12), si trasformi per questi bambini, in un luogo altro, in certi casi addirittura ostile, che dell’accoglienza e della crescita comune ha perso il senso. Come racconta Mamma Chiara che ammette:  

“Per Lele la scuola non so se sia un danno o un guadagno.  Lui si rende conto di essere un pesce in una classe di scoiattoli. È un po’ come quando andiamo al parco e guarda giocare gli altri bambini su giochi che lui non può fare. Ecco, a scuola dell’infanzia ha capito che tutti gli altri (tranne lui perché era l’unico bimbo con ritardo motorio) imparano con naturalezza cose che per lui sono impossibili: disegnare, colorare, correre, fare conversazione, farsi degli amici. Ora alla primaria ha capito che ci sono i bambini ‘cattivi’ che fanno gli strafottenti anche con lui. Quindi per me la scuola, che poi è l’unico luogo dove potrebbero interagire con i pari (quali pari in un mondo di rari???) per me è fonte di enorme ansia”.

 

Una testimonianza tristemente reale e dolorosa quella di mamma Chiara, cui fa eco Valentina, mamma di Aurora

“Inclusione in Italia. ….bel concetto…bella parola….ma…”.

 

Senso di isolamento e solitudine che non si avverte nè si consuma solo tra le mura scolastiche, come ricorda Mamma Barbara: “Rossana é mancata a 15 mesi, per cui l’argomento scuola non ci ha minimamente toccato. Ma avevamo fatto il corso di massaggio infantile a 6 mesi in un gruppo di bimbi e bimbe di 3. Tra cuccioli di quell’età ancora le diversità non si vedono, ma tra noi genitori gli sguardi parlavano più di tante parole, seppur tutti gentili!”.

“L’esercizio del diritto all’educazione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né di altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all’handicap” si legge all’articolo 12. Ma quanto testimoniato direttamente da queste mamme di bambini Speciali, dimostra che molto spesso l’integrazione scolastica, o extrascolastica, rischia nel concreto di rimanere solo una bella parola di un testo di legge.

 

Ecco allora che Claudia, mamma di Emanuel (affetto da malattia rara non diagnosticata), da Finestra su Casa Voa Voa lancia un accorato sfogo:  

“Se io penso alla scuola mi sento male – lamenta  -. Quello che mi da un fastidio pazzesco è che dottori e dottorini fanno di tutta l’erba un fascio, non curandosi delle necessità del bambino e soprattutto non capendo che ogni bimbo è diverso. Per un bambino come Emanuel, che si provoca le crisi epilettiche se qualcosa non gli va, che si stranisce facilmente, e soprattutto è ad altissimo rischio date le difese immunitarie bassissime, l’idea della scuola, credetemi, è un gran casino. Ma gli fa bene sentire le voci dei bimbi! mi dicono: ma Emanuel se ne frega delle voci dei bimbi!. Chi non lo conosce mette davanti il gli fa bene solo perché alla maggioranza fa bene e non sanno che altro inventarsi. Le infezioni prima o poi se le prende, un bimbo così può morire anche per un raffreddore! E certo, allora lo mando a scuola, perché tanto è così e c’è poco da fare… Signora ma avrà del tempo per lei! mi sento ripetere: ma io me ne frego del tempo per me! Tengo a mio figlio e al suo bene, non ho bisogno della scuola-babysitter. Se proprio deve, preferisco faccia fisioterapia, neuropsicomotricità o qualcosa che può aiutarlo davvero nella qualità della vita (che ora fa solo un’ora al giorno) piuttosto che posizionarlo fermo 5 ore su una sedia con il grembiulino celeste e dire bello di mamma, vai a scuola come tutti gli altri bimbi e avere il contentino… Scusate lo sfogo e il mio pensiero un po’ fuori dal coro, ma se la scuola è formazione per la vita, mio figlio ha bisogno di un altro tipo di formazione, più utile a migliorare la sua qualità di vita che quella di chi gli sta attorno. Riassumo con un’immagine che si esprime meglio di me: uguaglianza ed equità non sono la stessa cosa. Mio figlio non ha bisogno del trattamento uguale agli altri: ha bisogno di qualcosa in più che lo aiuti concretamente!”.

 

 

 Arrivederci a lunedì prossimo…

La Redazione di “Finestra su Casa Voa Voa” ringrazia le Mamme e i Papà, membri della chat, per la preziosa collaborazione.

Barbara 

Caterina

Guido 

Maurizio

Voa Voa!