Le Frasi da non dire ai Bimbi #rarinonivisibili

- Redazione

In questo numero di Finestra su Casa Voa Voa le Mamme e i Papà dei Bambini Speciali ricordano le frasi che non avrebbero mai voluto sentirsi dire da amici, parenti, conoscenti e medici, spiegando bene quanto dolore possono suscitare delle parole dette male. In questo racconto non mancano però le frasi, gli abbracci e le attenzioni che hanno fatto più piacere e che hanno dato loro tanta forza.

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Le frasi secondo la Mamma di Sofia

“Partendo dal presupposto che nessuna delle persone che si sono avvicinate a me, Guido e soprattutto a Sofia abbiano avuto l’intento di offendere o ferire qualcuno di noi, vi confesserò quali sono state le frasi che mi hanno più infastidito nel corso di questi sette anni di malattia – ricorda la Mamma di Sofia -. Rivolte a me: “Io non so come tu faccia a sopportare tutto questo. Se io vedessi soffrire mio figlio in codesto modo sicuramente impazzirei”. “Piuttosto che vederlo soffrire così avrei preferito fosse morto, forse io stesso l’avrei soffocato con un cuscino piuttosto che assistere inerme alla sua sofferenza”. Rivolte a me o a Guido: “Avete qualcuno che vi aiuta? No non intendo una tata…intendo uno psicologo. Io, dopo che mi è successo molto meno, ho iniziato a prendere psicofarmaci”.

 

Guardando Sofia, dicendolo davanti a lei:

“Poverina, Dio mio quanto soffre. È proprio ingiusto. Chissà quanto dolore ha in tutto il corpo. Ma riesce a dormire un pochino la notte? E voi? Deve essere terribile la vostra vita”.

Con Sofia presente:

“Speriamo che la sua sofferenza finisca presto e che voi possiate tornare il prima possibile ad una vita normale”.

Queste frasi sono arrivate da persone che evidentemente non ci conoscevano bene.

Chi ci conosce ha saputo invece toccare tasti e trovare parole che ci hanno consolato. La frase peggiore da quando Sofia è volata in cielo è stata:

“Questo dolore non vi abbandonerà mai, ve lo porterete appresso fino alla fine. Ma dovrete imparare a farvi forza e cercare un motivo per andare avanti. Comunque sarà difficile sopportare il dolore più grave che possa capitare”.

 

Purtroppo a volte la gente non si rende conto…almeno, io spero questo. Ovviamente questo commento non vale per i medici. Loro sono colpevoli e basta di insensibilità…perchè dovrebbero sapere cosa provocano le loro parole. La frase che mi ha sempre consolato di più mentre Sofia era in vita arrivava spesso da persone che ci conoscono bene:

“Lei nonostante la malattia non sembra triste. È serena e piena di pace, sicuramente questo è possibile grazie al vostro amore”.

E quella che più amo da quando è volata via:

“Il corpo è solo un vestito che ci portiamo addosso. Le anime affini legate dall’amore non si separano mai”.

Poi c’è stato anche chi mi conosce così bene che mi ha guardato in faccia e mi ha abbracciato dicendomi semplicemente

“Io ci sono. Non mi muovo dal tuo fianco fino a che non mi cacci tu a pedate”.

 

Ah dimenticavo

…la frase più meravigliosa me la dicono spesso le Mamme speciali di Voa Voa:

“Cate oggi il mio bimbo ha una visita difficile. Pregherò Sofia perché gli sia vicino”.

Questa è Sofia mentre me la immagino adesso”.

 

 

 

 


Le frasi secondo la Mamma di Natale 

“In questi anni mi sono sempre più convinta che la gente prima di parlare dovrebbe azionare il cervello – spiega la Mamma di Natale -. Di frasi infelici troppe me ne sono sentita dire e piano piano ho capito che non ero io che avevo bisogno di aiuto ma gli altri. Chi non vive la nostra situazione ci vede come degli infelici e prova ‘pena’, parola che odio con tutta me stessa e che spesso ho sentito pronunciare insieme a “poverino, ma lui capisce”.

 

Immaginate la mia rabbia ogni volta che sento queste parole. Poi mi fermo faccio un lungo respiro e penso che da fuori è facile dare giudizi senza prima provare a respirare quell’amore che solo mio figlio sa darmi, nonostante la sua grande disabilità. Ricordo ancora quando da uno zio super saccente mi fu detto:

“Arriverà il giorno in cui tu non riuscirai più a gestirlo ed allora dovrai lasciarlo in un centro”.

Lì per lì avrei voluto sotterrarlo, tra l’altro eravamo anche in un cimitero quando ha avuto questa bella uscita, ma poi mi sono detta che non valeva la pena, ho sempre avuto bassa stima di quella persona quindi per me valeva meno di zero. In questi anni mi sono costruita dei meccanismi di difesa che mi permettono di farmi scivolare addosso tutte le parole senza senso come quelle di mio zio. Ci vorrebbe una scuola che insegnasse alla gente l’arte di non ferire il prossimo con parole che spesso trafiggono più di una spada”.

 


Le frasi secondo la Mamma di Anastasia 

“Questo è un argomento veramente incredibile – spiega la Mamma di Anastasiaavrei da scrivere un libro solo per quello che ho sentito in 7 mesi di rianimazioni, a partire dalla frase che la primaria, dopo 48 ore dall’arresto cardiaco che ha trasformato Ana, mi ha detto vedendomi con un rosario in mano:

“Non saprei dirle per cosa pregare”.

 Per noi il top è stato quando da un rinomato ospedale hanno telefonato a mio marito per dirgli di:

“Cercare di farmi capire la situazione. Questa bimba sarebbe stata una meteora nella nostra vita e lui doveva cercare di farmi staccare da lei altrimenti si sarebbe trovato senza figlia e senza moglie”.

Questa sì che è saggezza medica, altissima saggezza direi…”

 


Le frasi secondo la Mamma di Rossana  

“Molte delle frasi che hanno fatto male a voi lo hanno fatto anche a noi – spiega la Mamma di Rossana e non sto neanche a ripeterle. Devo dire che le poche ma Grandi persone che abbiamo avuto attorno, ci hanno sempre protetto anche da questo, ossia dalla mancanza di tatto, seppure, non vi nascondo, che non mi sono mai fatta problemi ad accompagnare verso la porta di casa chi in qualche modo (anche solo verbale) potesse fare delle affermazioni poco gradite. Parlando con Massimo ci siamo ritrovati a dare separatamente le stesse risposte: la frase peggiore di tutte per noi é stata nel momento della comunicazione della diagnosi.

Massimo non ha una frase in particolare, ma il modo e il tono con cui parlava la Dottoressa. Io invece ho ricevuto un colpo ‘mortale’ nel sentirla dire con estremo cinismo:

“Non dovete preoccuparvi, perché ora potrete avere presto e in maniera sicura un altro figlio/a, dato che per questa non c’è niente da fare e non vivrà molto”.

Ve l’ho già detto, non ho mai guardato una persona con tanto disprezzo e disgusto! Le frasi più belle? Molte. Frasi, ma soprattutto abbracci, abbracci che parlano. E poi entrambi crediamo che le frasette più belle ce le ha dette Rossana a 3 mesi, poco prima aveva iniziato a lallare ed era una bella chiaccherina. Con il tempo i suoi versetti, i mugugni e le espressioni fatte da Lei dopo una domanda, sono sicuramente le ‘frasi’ più dolci e importanti che abbiamo ricevuto!”

 


Le frasi secondo il Papà di Sofia  

Ricorda il Papà  di Sofia: “Al colloquio per la comunicazione della diagnosi, il Primario di Neurologia ci disse:

“Vostra figlia ha la Leucodistrofia Metacromatica, patologia ad esito infausto  – dopo un breve excursus sulla patologia e sugli scenari devastanti della neurodegenerazione continuò – per lei c’è solo l’accompagnamento, comunque la vostra vita di coppia non è finita, infatti c’è la diagnosi prenatale”.

 

Malgrado fosse un’informazione pratica, “tecnicamente” utile, questa frase detta nel contesto della diagnosi è stata presa come un atto di gelido distacco dallo tsunami che ci aveva improvvisamente travolti. I nostri unici pensieri in quell’istante erano concentrati solo ed esclusivamente sulla bambina appena condannata a morte, non certo su scenari futuri della nostra “vita di coppia”. In quel momento volevamo avere disperatamente soluzioni, alleati con cui combattere la malattia di Sofia, non informazioni su come sostituire e guardare avanti oltre Sofia…La comunicazione di una diagnosi di malattia inguaribile ad esisto infausto è un momento sacro: pochi minuti di colloquio che restano incisi nell’anima, nei quali si crea, o si mina gravemente, l’alleanza terapeutica fra i genitori ed il Sistema Sanitario. Diagnosticare una malattia, quando possibile, è indubbiamente una vittoria, ma è soltanto l’inizio di una battaglia lunghissima in cui non è ammesso il fuoco amico.

 

Eravamo al secondo ricovero di Sofia, l’ultimo per l’esattezza, nel luglio del 2014. Sofia all’epoca era stabile, ma combatteva la patologia che le provocava ipertono e dolori aumentati in modo vertiginoso dopo l’interruzione della terapia compassionevole di Brescia. A fine ricovero, al piano terapeutico di Sofia, che nei mesi precedenti era consistito soltanto in qualche goccia di benzodiazepina (rivotril)  la sera, furono aggiunte altre medicine, triplicando e diversificando il piano terapeutico originario. Prima delle dimissioni, dato che eravamo ricoverati, abbiamo chiesto al Primario delle Terapie Palliative un consulto più approfondito per il controllo del dolore. Dopo avergli descritto lo stato di dolore e sofferenza di Sofia, il dottore rivolgendosi a noi dice:

“E questo non è niente, non avete ancora visto nulla”.

 

“Ora questo mese è un po’ difficile vedere Sofia…si va ad anno nuovo. Fermo restando che restiamo nelle nostre posizioni e voi nelle vostre”.

Era il 29/11, ad un mese dalla morte di Sofia. Eravamo andati all’ospedale per gli ultimi accertamenti poiché Sofia cominciava a stare male sul serio nonostante accertamenti e visite, tanto che il 13 dello stesso mese avevamo voluto iniziare il protocollo per le cure palliative. Il giorno dell’elettroencefalogramma, abbiamo voluto far vedere Sofia anche alla Clinica del Bambino Complesso, un DH specialistico per casi di particolare intensità assistenziale. Con Sofia in braccio, davanti al primario, abbiamo intavolato un’indimenticabile chiacchierata durata mezz’ora finita con un “ci vediamo a gennaio”, la visita, infatti fu fissata l’8 gennaio, ben 9 giorni dopo la scomparsa di Sofia. Troppo tardi! Bisognava agire immediatamente!  Le nostre “posizioni” erano quelle di Sofia, lo sono sempre state, perciò eravamo lì con Sofia e la sua gravità a mendicare assistenza.

Qualche giorno dopo la scomparsa di Sofia riceviamo una mail da parte del primario, in cui si rammaricava per non essere riuscito ad assistere Sofia. Nonostante le emozioni contrastanti suscitate da quelle parole, abbiamo apprezzato il coraggio e l’umanità di una velata ammissione di responsabilità… evento nel mondo della medicina tanto raro quanto le malattie che affrontano i nostri bambini.

“Il nostro sforzo nel prendervi in carico sarebbe quello di evitare un accesso al pronto soccorso, che se dovesse accadere significherebbe il fallimento dell’assistenza che abbiamo voluto fare a Sofia”.

Frase detta dal coordinatore regionale, primario di Cure Palliativa pediatriche, durante la riunione di presa in carico di Sofia svoltasi il 13 novembre. Il 30 dicembre alle 17:30 abbiamo raggiunto il pronto soccorso dell’ospedale pediatrico, dopo un mese e mezzo di inspiegabile immobilismo da parte dell’unità di cure palliative pediatriche. Purtroppo in Toscana la rete per le Cure Palliative Pediatriche Domiciliari non ha nel territorio un’equipe di pediatri ed infermieri dedicata.

Come giustificazione a questo vuoto assistenziale che costringe la famiglia all’ultima drammatica fuga verso il Pronto Soccorso, mi è stato risposto alla stessa riunione di presa in carico di Sofia, che i 64 casi di bambini terminali in Toscana non giustificano una rete pediatrica domiciliare… Ai genitori di questi 64 bambini toscani, che annualmente volano in cielo, non è data concretamente la scelta seguirli a casa e di dare loro la possibilità di vivere gli ultimi momenti in vita nei loro luoghi, circondati dai loro affetti. L’attuale rete pediatrica di Cure Palliative domiciliari in Toscana si appoggia a quella dell’adulto e non dispone di pediatri e infermieri pediatrici nel suo organico.

“La Famiglia (con un bambino affetto da patologia, rara, multisistemica ad esito infausto), deve scegliersi un medico tutor, io non mi sento medico tutor di Sofia, perché dopo la diagnosi la famiglia ha fatto certe scelte…”.

Frase detta al convegno sulle malattie rare del 2015 dal Primario del Reparto Metabolici che nel 2011 aveva fatto la diagnosi a Sofia, in risposta ad al mio intervento di denuncia sull’abbandono a cui Sofia era stata condannata dopo la diagnosi. In realtà una famiglia che affronta una simile situazione, non ha scelta, ne tantomeno può permettersi di scegliere o cercarsi uno specialista valido che conosca la complessità della patologia che divora giorno dopo giorno il proprio figlio. E’ compito dello specialista di patologia conquistare la fiducia della famiglia, dimostrando rispetto per un dolore ineffabile e provando, attraverso il dialogo e la concertazione, a trovare strategie e soluzioni condivise, percorribili dal punto di vista clinico, relazionale e umano.

Il medico è uno strumento, deve essere una chiave che gira tutte le mandate per aprire le porte chiuse alla salute e raggiungere il paziente… non un chiavistello arrugginito dall’orgoglio e bloccato dalla boria del camice bianco”.

 


Le frasi secondo la Mamma di Gabriele 

“Sono molte le frasi che ho sentito e che mi hanno ferita profondamente – ricorda la Mamma di Gabriele –. Sarà per questo motivo che  soffro di memoria selettiva! Ho cercato di dimenticare parole e frasi ripetute da persone vicine; molte le ho rimosse, con altre purtroppo ci convivo. “Quelli sono genitori indaffarati, mica te!” detto a me da una persona molto vicina, guardando i genitori di bambini più piccoli di Lele correre dietro ai loro figli in riva al mare. Peccato che Lele, nonostante i suoi tre anni suonati e le migliaia di ore passate a fargli fisioterapia e ogni tipo di stimolazione, non riuscisse ancora a stare nemmeno seduto da solo.

“Lo tratti come un bimbo piccolo, lo farai diventare scemo di questo passo!”: perché lo imbocco, perché lui dopo essersi soffocato non so quante volte con la sola sua stessa saliva, il cibo lo rifiuta.

“Questo bambino deve leggere, leggere, leggere! Ed anche scrivere! Non gli fai fare il compito quindi sarà analfabeta”.

Lele fa tutti i giorni logopedia, o fisioterapia o arteterapia o psicomotricità o terapia craniosacrale per cercare di contenere i danni della malattia (che comunque va avanti). Ditemi voi se la vita non gli abbia già ‘donato’ un compito difficile: crescere.

 

“Si ammala così in continuazione, hai la polvere in casa”

detto a braccia conserte sempre da persone troppo ‘vicine’ per poterle invitare a uscire di casa e suggerire di pulire. All’epoca rianimavo Lele anche 3/4 volte al giorno…

“Cosa vai a perdere tempo a Roma?”

negli anni in cui mi sono impegnata al massimo affinché la malattia di Lele avesse un nome e un codice di esenzione. Sforzo che si è poi concluso solo lo scorso anno, ma almeno abbiamo dato un nome a questa ‘bestia’ che gli ha rubato la salute, mentre la Regione ci passa alcune medicine che sono indispensabili e che ante codice di malattia rara pagavamo noi. Ma di questo nessuno, ma proprio nessuno, mi ha fatto i complimenti. Tutto scontato.

 

E le frasi che mi sono sentita ripetere più spesso:

“Se non parla non si vede che è disabile. Tu non lo dire che non sembra”.

“Perché parli della sua disabilità? Vuoi essere compatita?”.

“Ma come, ha solo questo figlio? Perché nonne ha fatto subito un altro?”.

Invece di frasi che mi hanno aiutata non mi ricordo. Mi ricordo invece il grande sollievo quando ho conosciuto mamme speciali come quelle di Voa Voa, e da allora non mi sono più sentita sola. La forza delle mamme speciali e la rete internet mi ha salvata. Permettendomi di confrontarmi anche con famiglie estere, trovare altre rarità al pari di Lele, scoprendo alcuni vecchi rimedi che, per carità, non guariscono ma aiutano a migliorare la qualità di vita. E soprattutto in rete ho trovato molte leggi a favore di persone con disabilità di cui nessuno mi aveva informato.

 

Anche a me dicono che non devo occuparmi di Lele, perché quando non ce la farò più io verrà messo in istituto. Ma in tanti me lo hanno detto.

Pensa a tuo marito, lui lascialo perdere tanto in casa una volta che sarà più forte di te, non ce lo potrai tenere”.

Aspettate! La frase che più mi sento ripetere è che è un karma, una scelta: l’anima sceglie di incarnarsi in un disabile perché ‘evidentemente’ aveva torturato in altre vite altre persone. Oppure che è per la mamma che è venuta questa anima stupenda: per una lezione importante di vita per la mamma. Gira che ti rigira è sempre colpa della mamma anche quando le anime dei bambini morti in cielo piangono e spengono le loro candele: è perché la mamma piange per il figlio defunto e le sue lacrime lo lasciano al buio.

 

“Se tu lo volessi veramente guarirebbe”

l’ho sentito un milione di volte. Anche a me alcuni parenti a più riprese mi hanno detto di metterlo in istituto. Così finalmente parlerà non essendoci più la mamma a tradurlo. Così finalmente mangerà, invece che propinargli quel pastone sempre uguale. E vedrai come si sveglierebbe in istituto dove non c’è più mamma a vestirlo ed a imboccarlo. C’è stata però una frase che mi ha aiutato tantissimo, ed è stato Gabriele stesso a pronunciarla mentre gli spiegavo che “le parole hanno dei sinonimi. Quindi se non si riesce a pronunciare ‘c’ o ‘t’ per dire ‘castello’ si può dire ‘maniero’. Oppure al posto di ‘cattivo’ si può dire ‘non buono’, cercando di usare sillabe che sai dire”. E lui allora mi rispose: “Aie mamma e mi inegni a palae (Grazie mamma che mi insegni a parlare)”. Lele all’epoca aveva 5 anni ma già era estremamente frustrato perché nessuno lo comprendeva”.

 


Le frasi secondo la Mamma di Matilde 

“Io per evitare tutto questo marciume, quando è mancato mio marito Claudio – spiega la Mamma di Matildenon ho messo manifesti e non l’ho fatto sapere, proprio per evitare la stupidità di queste frasi fatte. Tra le tante frasi stupide che mi sono sentita dire, che assomigliano tanto alle vostre, tipo “non so come tu faccia” “le croci  le danno a chi le sa portare” “hai tanta forza” ecc. quelle  che non posso dimenticare sono queste: una è stata detta da un’infermiera, che somministrando il Gardenale mi disse:

“non vorrei mai dare questo farmaco a mia figlia”

e poi da parenti stretti ci siamo sentiti dire che io e Claudio dovevamo metterla in un istituto perché così non abbiamo potuto essere liberi e ci siamo rovinati la vita! Sono andata dallo psicologo per un po’, per aiutarmi dopo il lutto e con Mati, ma dopo tre sedute mi dice:

“Si prenda un po’ di spazio per lei. Sa, con questi bambini con basse aspettative di vita uno deve svagarsi un po’…”.

Ma è  normale che lo psicologo che dovrebbe aiutarti ti dica una sciocchezza del genere?”.

 


Le frasi secondo la Mamma di Federica  

“Più o meno le frasi si assomigliano tutte… – spiega la Mamma di Federica –. La mia lista è questa:

“Com’è successo, stava cosi bene….peccato è così bella…”.

La più frequente era:

“E vabbè, sei giovane, fanne ancora, sempre che nasca uno sano”

…Quella più brutta è:

“Io non so se riuscirei a sopravvivere”.

E anche se spiegavo che era genetica qualcuno mi disse:

“Per caso questa malattia è contagiosa?”.

I medici, non tutti, mi dissero se volevo rinchiuderla per avere una vita normale.

I parenti dicevano:

“Basta un po’ di fisioterapia o addirittura ci vorrebbero medici buoni”,

come se io non mi fossi informata o non l’avessi portata anche fuori Napoli. Per me la più grave è stata della mamma di mio marito, che si vergognava nel dire che la patologia dipendeva da noi, e alla gente preferiva dire:

“È successo a causa di una febbre forte e convulsioni”.

Altre frasi sono queste:

“Tanto tu sei abituata…ma come fai poi…è il Signore sicuramente a darti tutta questa forza…”.

Credetemi, altre ancora le ho rimosse altrimenti dovrei fare una strage tra parenti amici e conoscenti. Invece i bambini con noi sono stati fantastici. Mi chiedevano sempre:

“Puoi farla venire a giocare con noi?”.

 


Le frasi secondo la Mamma di Leonardo e Letizia

“La domanda più ricorrente da quando sono nati i miei ragazzi – spiega la Mamma di Leonardo e Letizia è stata: “Ma nella tua famiglia avete casi simili?” Simili a cosa? Se è una malattia rara! Io non mi sono fatta molte domande e quando me le fanno gli altri mi stupisco ancora dopo 18 anni, tipo:

“Ma perché è toccato a voi?”.

La mia risposta è sempre la stessa: perché c’era qualcuno al mondo che lo meritava al posto  mio? No assolutamente No. Il problema è che non siamo noi ad avere il problema, ma i nostri figli. Loro soffrono più di chiunque ed è normalissimo cercare di alleviargli il più possibile la sofferenza e accudirli nel miglior modo.

 

Cinque anni fa ho fatto un viaggio a Lourdes, il medico che ci accompagnava nel viaggio mi chiese se volevo parlare con un gruppo di scout, ragazzi molto giovani che volevano farmi delle domande visto che con me c’erano sia Leo che Lety. Un ragazzino di circa 10 anni mi chiese:

“Posso sapere come fai a sopportare questo dolore nel vedere i tuoi bimbi così malati?”.

Ho risposto: “Faccio come fa la tua mamma quando tu stai male, ti sta vicino e ti cura per tutto il tempo che è necessario”. Dopo abbiamo pianto tutti insieme. Ho poi un ricordo indelebile e vomitevole di una frase detta da un medico, precisamente un anestesista pediatrico della Tin della mia città. Venne in camera di Leonardino, che aveva una polmonite ed era molto piccolo. Chiaramente lui era a conoscenza che Leo era il fratellino di Letizia e mi disse:

“Signora, ma lei si rende conto di quello che hanno i suoi figli? Si rende conto della gravità?

Stette tutta la sera a farmi questa pressione psicologica”. Lo ringrazio ancora oggi per avermi fatto capire che li devo difendere proprio da medici come lui. E l’ultima perla che sento ancora oggi è:

“Ma scusa, dal momento che sapevi che Letizia era malata, perché hai fatto il secondo bambino?”

Grazie e ripeto grazie per darmi dell’incosciente ad aver rischiato così tanto”.

 


Le frasi secondo la Mamma di Emanuel

“Sono 5 anni che ne sento e ne vedo di tutti i colori – spiega la Mamma di Emanuel -. All’inizio non ci facevo neanche caso perché ero come anestetizzata e pensavo solo a Munny, al fatto che era vivo per miracolo e da un momento all’altro potevo perderlo. Tutto era per lui, se mi avessero dato una coltellata neanche l’avrei sentita talmente ero immersa nell’amore/dolore. A mente fredda ora posso dire che forse questo atteggiamento mi ha salvato, anzi ha salvato parecchie persone dall’essere sbattute al muro. In 5 anni sono cambiata, Emanuel è sempre il centro dei miei pensieri ma le mie orecchie non sono più foderate, le mie mani che prima servivano solo per accarezzarlo ora sono anche capaci di prendere a sberle chiunque provi a sputare veleno su Munny o sulla nostra vita.

Potrei elencare le offese gratuite una ad una – per non parlare poi di quelle dei camici bianchi – ma credetemi non basterebbe un libro. Mi limito a dirvi quella che a mio avviso è la più spregevole e che proviene da una persona che prima ancora di reputare “parente” reputavo “amica”…Era sotto Natale, Emanuel aveva pochi giorni, era vivo per miracolo, con ancora la testina aperta e bendata, stava buono buono in braccio a me che lo guardavo innamorata e consapevole che il 7 gennaio sarebbe dovuto tornare in ospedale per essere sottoposto a un ulteriore e rischiosissimo intervento. Da lì a poco avrei potuto perderlo, il rischio era più che altissimo, quasi certo, e il pensiero non mi dava pace. In quel momento mi venne detta la frase più spregevole, fuori luogo e velenosa che mi sia mai sentita dire.

 

Entra nella stanza questa donna che con il sorriso sulle labbra se ne esce come i dolori e mi fa:

“Quando avrò io una gravidanza tu sarai invidiosa di me”

E con faccia sicura annuiva alla sua stessa sparata, rimarcando sul fatto che tra le mie braccia c’era un figlio che non era sano e che quindi sarei diventata invidiosa e sottolineo la parola ‘invidiosa’ di lei e di un eventuale suo bambino. Mi limitai a dirle che per una mamma un figlio è la cosa più bella de mondo indipendentemente dallo stato di salute e che quando sarebbe diventata mamma a sua volta avrebbe capito. Posso dirvi che tutt’oggi non ha capito un bel niente, non parliamo più da anni ma vi assicuro che non ha capito nulla, anzi… Invidia è già di per se una parola orrenda, ma detta in quel modo e in un momento così duro è stato qualcosa degno di una serpe, e credetemi se vi dico che mi sono trattenuta molto nel raccontare: perché mi fa schifo anche solo ripetere la frase nella sua versione integrale o descrivere i suoi atteggiamenti…quelle parole mi hanno perseguitato spingendomi a chiedermi: “Perché ha detto questo? Cosa glielo ha fatto pensare? Come ha potuto?”

 

E piano piano questa persona è finita nel dimenticatoio assieme alle sue frecciate e al suo ego sfrenato. Il mio Piccolo Principe come nel libro ha avuto la sfortuna di conoscere il Serpente, ma a differenza del romanzo, dopo aver sparato la sua frase ad effetto, non si è più avvicinato, per sua scelta poi, e a noi va bene così, anzi va benissimo così! Da lì in poi ne ho sentite di altre porcherie uscite dalle bocce più insospettabili che mi hanno profondamente deluso come:

“Siete la feccia, lo scarto, gli emarginati”

oppure:

“Ma te lo sei fatto da sola il disegno per fare finta che te lo ha regalato tuo figlio?”

O ancora:

“Ecco…guarda quanti giocattoli ha Emanuel che ‘sta così’ e invece xxxx non ne ha, insomma non è giusto”.

Oppure:

“Non fare gli auguri a tua mamma per la festa dei nonni, gli auguri ai nonni li fanno i nipoti e a lei non c’è un nipote che sia in grado di farli”.

O anche:

“Che glie lo dai a fare tanto è cieco!”.

A proposito di Rosario a me è stato detto che era inutile pregare e che mio figlio stava male perché avevo bestemmiato mettendogli lo stesso nome di Dio! O ancora, rivolto a Munny ma detto a voce alta affinché io e il papà potessimo sentire:

“Amore lo sai perché non esci? Perché mamma e papà si vergognano di te!”

Ma il termine immunodepresso era troppo difficile da comprendere per chi voleva solo sventolare un trofeo con le amiche e Munny non era certo quel tipo di trofeo… Frasi che fanno male ma che hanno avuto da parte nostra la reazione che meritavano, ossia una bella porta chiusa. Le serpi non ci piacciono e non ci sono mai piaciute, quindi perché dovrei farle entrare in casa nostra e nella nostra vita? Voi avete mai parlato o tirato uno schiaffo a un serpente? No, i serpenti si evitano e basta e così facciamo. Vi assicuro che non ci mancano affatto, ci abbiamo guadagnato in serenità e salute ed Emanuel non sente la mancanza di nessuno di loro, anzi è circondato da chi lo ama e rispetta, e con la sua famiglia e i suoi amici è il bambino più felice del mondo. Come si dice a Roma: “Alla faccia de chi ce vó male!”

 

 


Le frasi secondo la Mamma di Martina

“Martina ha quasi 18 anni  e un po’ di tempo fa– ricorda la Mamma di Martinadue persone che ricordo molto bene mi hanno detto, in momenti diversi, così che non ho avuto nemmeno il tempo di riprendermi dallo shock, che subito è arrivato il grullo di turno a farmi ricadere in quel: ma perché? La domanda è stata questa: “Tua figlia non vive tanti anni?”. Ma che domande sono queste? Qualunque sia la malattia, che domanda è? Si dovrebbe mai farla ad una mamma? Ancora oggi non posso fare a meno di pensarci e sono sempre addolorata per questa cosa. Ma quello che non posso fare a meno di pensare è alla mia reazione: giuro non ho risposto né ho fatto niente! Credo che in quel momento io non fossi più li. È stato il dolore più grande sentirmi dire queste cose. Anche a me dicono:

“Sei forte, hai cresciuto Marty da sola, ma come hai fatto?”. Tante volte rispondo: “Ma voi cosa avreste fatto al mio posto? Avreste abbandonato i vostri figli?”.

Poi lascio stare perché non posso sprecare energie con loro. E quando mi dicono: “Da te c’è solo da imparare”, dentro di me rispondo: “Quando volete, a turno, a casa mia c’è bisogno”. Avete tutti ragione! Tanto tocca a noi! Forza mamme”.

 


Le frasi secondo la Mamma di Chiara

“Le vostre frasi sono uguali anche per me, le ascolto da 5 anni e ormai mi scivolano addosso – spiega la Mamma di Chiara -. Pensate che ogni qualvolta ci spostiamo da casa, perché con Chiara per il momento riusciamo a fare tutto, come per esempio un viaggio, il mare, la pizza e tante altre cose che non vogliamo perdere l’opportunità di fare fino a quando sarà possibile, arriva la classica frase: “Beati voi che fate tutto. E che pensieri avete! Ma come fate! Questo perché non avete niente da fare! Piuttosto, mettete i soldi da parte che un giorno, quando sarete vecchi, non avrete la forza di portare questa croce”.  Ma ormai non ascolto più e non mi oppongo a quest’ignoranza che purtroppo di solito è familiare.

 

La frase più brutta che mi è stata detta e che ancora molte volte viene usata, è quella secondo cui Chiara è così per colpa mia:

“Magari non sei stata attenta a qualche alimento”

“Hai fatto qualche sforzo in più”

“Non hai fatto abbastanza visite in gravidanza”

“Le hai fatto sbattere la testa o la schiena”

. Questa è la frase che più mi ha fatto male, e ancora, quando la ripetono, mi viene da farmi l’ergastolo. Frasi belle mai, solamente frasi dette per pena e pietà.  Le frasi più belle le ho sentite dalle mamme della famiglia Voa Voa, che realmente conoscono il dolore e sanno con un semplice “sono con voi” rialzarti da un periodo nero. Mamme che vivono realmente questa vita che non è né bella né brutta, ma è la nostra vita. Forse è più facile trovare delle belle frasi scartando un bacio perugina, piuttosto sentirle che da un comune mortale. Chi non ci passa non può saperlo.  La mia vita è bella così, con lei, con voi”.

 

 


Le frasi secondo il Papà e la Mamma di Aurora

 

“Sono David, il papà, o più precisamente uno dei due papà di Aurora, non quello biologico se vogliamo usare il linguaggio della scienza, ma quello che ha scelto di esserlo per amore. Parole fuori luogo ne ho ascoltate – ricorda il Papà di Aurora -. Mercantia 2012 passeggiando con Aurora mi sento dire: “Certo tu hai proprio un bel coraggio”. Oppure:

“Ti sei preso proprio un bel fardello”

“Che coraggio, chissà quanta fatica”

“Ma non potevi trovare una donna più semplice?”, ecc.

Io ho sempre guardato, ascoltato e alla fine sorriso, perché cosa devo spiegare? Provo solo pietà e compassione per queste persone aride. Voglio dire che io, molto semplicemente, non ho scelto niente, ma mi é successa la cosa più normale che esista: mi sono innamorato, e di conseguenza ho amato mia moglie e mia figlia. Con devozione rinnovo ogni giorno questo sentimento senza fatica, ma con gioia e felicità. Per me non c’é differenza, e se c’è chi non capisce allora non é un mio problema.

Tuo Dadda (come dice Aury)”.

 

“Come ti senti? Ci sono io, e ci sono davvero. Fatti bella ed esci un po’ con David. Sto io con i bambini. Tu vai tranquilla, qualsiasi cosa chiamo”. Ehi tu! Affacciati su Finestra VoaVoa: queste sono le parole che non hai mai detto! – spiega la Mamma di Aurora. Alcuni sono parenti, altre sono persone che ho incontrato per qualche tempo, che subito hanno richiuso le persiane e continuato la propria vita. Ogni tanto però se ne escono con le solite frasi che ripetono da 13 anni. Parole dette male, che però arrivano dentro e scuotono nel profondo, fino a far sentire addosso il peso della tristezza per giorni interi.

 

Parlo di frasi come queste: “Sei forte e coraggiosa”: ma io non ho mai avuto altra scelta. Ho dovuto e devo esserlo anche se tremo dalla paura, anche se ho la pressione alta o bassa, anche se ho un mal di testa che mi spacca. Non c’è via di mezzo.

“Dio le manda a chi le può sopportare”: A Dio veramente avevo chiesto un’altra condizione, e la vita poi è stata inimmaginabile anche per me.

“Hai divorziato in questa situazione?”.

“Come fai?”.

Non lo so nemmeno io come faccio, non posso e non voglio pensarci. Lo devo e lo voglio fare perché lei è Mia Figlia, chiaro?

“Come fai a lavorare?”

“Sei stata fortunata a incontrare un altro uomo…” (già, ho trovato il tempo anche per sedurre e rigenerare…)

Poi ci sono le parole e le opinioni che son venuta a sapere, ma quando ho chiesto direttamente, non sono state ammesse e confermate, quindi le definirei storia di ordinaria follia, strumentalizzazione, falsità e ipocrisia.

 

Ah dimenticavo, le parole maledette dei medici sul suo peggioramento, che è ulteriore sofferenza per Lei e quindi per me

Una delle ultime frasi che ho sentito è stata questa:

“Si vede che hai accettato”.

E no, non ho accettato proprio nulla, nemmeno gli psicologi ce l’hanno fatta. So solo che è la Mia Storia insieme a Lei. E mi ero dimenticata anche di quest’altra:

“Quanto tempo ha da vivere”.

A sangue fermo mi viene da dire: perché tu lo sai quanto tempo ne ha il tuo?  Ma non sono come questa mamma che ha l’indelicatezza di dire queste cose. Così le osservo e noto che per loro è normale aver pronunciato una frase così.

 

Poi ci siete voi amiche mie di questa chat, e amiche lo sareste state comunque senza esser la Mamma dei nostri figli, che sono un valore aggiunto inestimabile.

Per fortuna ci sono poi le parole che scaldano il cuore, accarezzano l’anima, come quelle di mio padre, di Paola, di alcune colleghe amiche e/o amiche colleghe che quando le chiamo ci sono, e senza spiegare fanno. Ci sono le parole della nostra musica, le uniche che producono lacrime, perché il dolore blocca tutto, anche la bocca per non rispondere alle mazzate che a volte sento.

Io sono la sua mamma, dal giorno che ho fatto il test di gravidanza e ho letto positivo.

E adesso tu, che leggi affacciato a Finestra Voa Voa: decidi cosa vuoi fare davvero per lei, per loro”.

 

Grazie a tutti per l’attenzione!

La Redazione di “Finestra su Casa Voa Voa” ringrazia le Mamme e i Papà, membri della chat, per la preziosa collaborazione.

Barbara 

Caterina

Giacomo

Guido 

Maurizio

 

Voa Voa!

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