I difetti degli ospedali per i bimbi #rarinonivisibilì

- Redazione

Affrontare un ricovero è decisamente traumatico per i nostri Bambini Speciali, affetti da malattie rare e incurabili che spesso li rendono invalidi al 100%, ciechi, incapaci di distinguere i suoni e la loro origine. Purtroppo, ci sono circostanze in cui ai genitori si rende necessario un ricovero programmato per accertamenti, consulenze, interventi chirurgici o analisi di follow up, e altre in cui la salute del bimbo diventa ingestibile a casa e l’ospedale rappresenta l’unica ratio. In questo articolo di Finestra su Casa Voa Voa, leggeremo le testimonianze delle mamme e dei papà Caregiver, che offrono uno spaccato concreto della propria esperienza negli ospedali. Nella maggior parte dei casi assisteremo ad una sostanziale inadeguatezza nella corretta presa in carico dei bambini gravissimi, indipendentemente dall’ospedale di riferimento o dalla città di residenza, attraverso il resoconto esplicito e dettagliato di disservizi, carenze, scarsa organizzazione e in alcuni casi persino barriere architettoniche

 


L’ospedale per la Mamma di Gabriele

“La vita in ospedale è durissima, soprattutto per i bambini, ma anche per noi genitori caregiver – spiega la Mamma di Gabriele -.  Purtroppo da molti anni non andiamo più in pediatria a Lucca, nostra città di residenza, che era un reparto umano in cui si trovavano lettini che si allungano con sponde adatte ai bambini, dove mi permettevano di portare da casa il mangiare per Lele e coi carrellini dei medicinali facevano poco rumore. Allo Stella Maris di Tirrenia, invece, non siamo mai riusciti ad avere una stanza con il bagno in camera, perché era sempre in comune con altre stanze: igienicamente inammissibile per un bambino con immunodeficienza primaria. Inoltre non permettono di portare cibi da fuori, e con Lele che non mangia cose diverse da quelle che sa gestire, è un vero e proprio dramma.

I letti sono per adulti, così come nel reparto di chirurgia del Santa Chiara di Pisa, dunque non posso metterlo in sicurezza nemmeno quando dorme. Sempre in chirurgia a Pisa, sono pochissimi gli infermieri e gli operatori socio sanitari che possono eseguire operazioni diverse come rimuovere i catarri, somministrare medicinali, cambiare la flebo, ecc. Lo Stella Maris è un presidio dove si fanno valutazioni e diagnosi ma soprattutto riabilitazione. Quindi gli ambienti dovrebbero essere accessibili per tutti. Invece il percorso per disabili motori è addirittura esterno… vi immaginate?

Dentro c’è solo una rampa mobile e nessun ascensore. Per andare a comprare i buoni pasto bisogna lasciare il bambino ad un altro genitore, oppure occorre caricarlo in spalla perché non c’è l’ascensore. Per non parlare di quando si viene ricoverati per polmoniti o comunque in urgenza al Meyer di Firenze. Ci siamo ritrovati in ambienti con troppi pazienti che hanno di tutto e di più, senza letti idonei, senza poter portare i pasti da casa, senza il pasto per il genitore, con una brandina o roba peggiore che rovinerebbe la schiena di chiunque, figuriamoci nel mio caso che sono invalida pure io. Ci siamo ritrovati a trascorrere giornate e nottate lontani da casa, senza un posto dove poter lavare i bambini o fare noi stessi la doccia.

Con infermieri inesperti che non trovano le vene per i prelievi, e dopo quattro, cinque tentativi andati male provano con la femorale; ovviamente le vene non tengono e allora ricominciano a fare buchi. Intanto il bambino spaventato trasalisce ad ogni singolo rumore, soprattutto quello dei carrelli coi medicinali, che vanno e vengono in continuazione. Il massimo che propongono ai pazienti è di mettere un sondino per l’alimentazione senza neanche dargli un minimo di sedazione.

Al Meyer Lele ha fatto diversi esami, alcuni invasivi in sedazione. In ciascuna occasione lo hanno immobilizzato in tre o quattro persone nel tentativo di trovargli le vene, quando per una sedazione sarebbe sufficiente usare la mascherina. Una volta sedato le vene si trovano in un attimo perché il bambino sta fermo, e allora mi chiedo: perché torturarlo prima? Perché ogni ricovero gli deve comportare dei traumi, che lui commenta e sui quali continua a piangere anche a distanza di tempo? Uno su tutti: nell’ultimo esame mi ero raccomandata che se fossero stati intenzionati a mettergli un accesso venoso, l’avessero fatto post mascherina, in sedazione profonda. Mi hanno detto ‘ok’ e mi hanno fatto uscire. Finale: Lele è uscito con due cannule, una in ciascuna mano. Aveva le braccia contuse e si svegliava piangendo dicendomi che gli avevano fatto (parole sue):

 “Tanti buchi, tanto male. Io ti chiamavo forte perché avevo paura e tu non sei venuta! Ero solo e tu dov’eri? Io avevo paura!” Potete immaginare il mio cuore di mamma mentre lo sentivo piangere a dirotto, e la rabbia che provo contro questi comportamenti veramente poco rispettosi dei bambini.  A distanza di mesi si sveglia ancora nel panico per gli incubi da ospedale. Dunque, quando sta male, oltre alla preoccupazione, ho anche il terrore dei ricoveri.”

 


L’ospedale per il Papà di Mattia

“È difficile che ricoverino mio figlio– spiega il Papà di Mattia – perché hanno paura che il piccolo si prenda qualche infezione. In effetti, quando il ricovero è inevitabile, finisce sempre che lo mettono in stanza con altri pazienti, rischiando di prendersi di tutto, per questa ragione è molto pericoloso per lui”.

 


L’ospedale per la Mamma di Sofia

“In ospedale abbiamo trascorso diverso tempo tra ricoveri, day hospital e appuntamenti per visite e follow-up di patologia – ricorda la Mamma di Sofia. Quello di cui più di tutto abbiamo avvertito la mancanza, sia a Firenze che altrove, è la predisposizione di spazi dedicati a bambini gravissimi, com’era la nostra Sofia. Arrivare in ospedale ed essere costretti a stare in sala d’attesa in mezzo a mille altri pazienti di tutti i tipi, che per il 90% hanno patologie virali o batteriche, quando si è genitori di bambini di cristallo come i nostri, è ingiusto e irrispettoso nei riguardi della loro condizione.

Nessun luogo più di un ospedale dovrebbe essere in grado di dotarsi di ambienti anche piccoli ma riparati, in cui i bambini gravissimi ad alto rischio possano soggiornare in sicurezza. Per una bimba come Sofia prendere un raffreddore o una bronchite significava rischiare di finire intubata o comunque in terapia intensiva. Si tratta di pazienti che non hanno più la capacità di tossire né di espellere anche solo parzialmente i muchi di un banale raffreddamento che, ristagnando, si trasformano in una pericolosissima fucina di infezioni gravi. Non bastasse questo, i nostri bimbi sono spesso paralizzati e ciechi, e in molti casi percepiscono i suoni che li circondano in modo distorto o amplificato.

Immaginate il terrore che può scatenare per un bimbo in queste condizioni trovarsi in un ambiente confusionario per ore e ore, giorni in caso di ricovero. Senza contare il motivo per cui si finisce in ospedale, che per il bimbo è ancora più angosciante: prelievi, visite da parte di sconosciuti che gli mettono le mani addosso senza avvisare, minacce continue che il bimbo non può vedere, dunque non è neanche in grado di prepararsi. Un vero e proprio incubo che, almeno parzialmente, potrebbe essere attenuato da una serie di piccole accortezze da parte della struttura ospedaliera.

I malati gravissimi sono rari, dunque pochi.

Perché non cercare di limitare le occasioni di richiamo in ospedale, agevolando piuttosto l’assistenza domiciliare dove possibile? Visite e prelievi sarebbero meno terrifici se si svolgessero nella serenità di casa. Invece, addirittura, le visite di controllo dell’attività respiratoria da parte della fisioterapia respiratoria che ogni tot mesi verifica lo stato dei pazienti gravissimi, si svolgono solo in ospedale, costringendo i genitori a portarsi appresso ogni volta TUTTI i macchinari di ausilio alla respirazione per il periodico follow-up… e si parla di diversi kg di apparecchiature, tra macchina della tosse, aspiratore, saturimetro e in certi casi persino le bombole di ossigeno. Per me veramente inaccettabile da parte degli ospedali pediatrici”.

 


L’ospedale per la mamma di Leonardo e Letizia

“Di ricoveri ne abbiamo fatti un’infinità – spiega la Mamma di Leonardo e Letizia e per quanto riguarda la disponibilità del reparto, sono sempre stati molto cortesi. Quando invece le cose sono più complicate da gestire in reparto e c’è bisogno della sub intensiva, allora inizio ad avere il terrore per la gestione dei miei ragazzi, non mi fido di nessuno, almeno per quanto riguarda l’ospedale Meyer. Anche un semplice day hospital con tutte le visite programmate ti costringe a girare per l’ospedale nei vari ambulatori, fare l’accettazione, aspettare il turno con  tutti gli altri bimbi che arrivano da fuori per le visite: ecco questo non è giusto né accettabile, perché non c’è nessuna considerazione per la priorità del caso.

Ho sentito dire che esiste un progetto al Meyer per spostare tutti gli ambulatori dedicati agli esterni in un altro edificio acquistato dall’ospedale. Speriamo! Così almeno lascerebbero gli attuali ambulatori esclusivamente per i bimbi del DH. Mi auguro accada quanto prima”.

 

 


L’ospedale per la mamma di Martina

“Anche Marty ha fatto tanti ricoveri, specialmente negli ultimi due anni in cui, dopo un intervento importante, ha avuto una serie di complicazioni – spiega la Mamma di Martina -. Ci siamo ritrovate sbattutte in ospedali incompetenti, come quello di Prato, dove non sapevano dove e come risolvere problemi come la setticemia e le infezioni. Siamo stati mandati via dall’ospedale ad orari assurdi come le 5 del mattino e spediti a 300 km di distanza per una mera questione di incompetenza! Per fortuna non tutti gli ospedali sono uguali, perché al Buzzi di Milano, alla fine, siamo stati curati a dovere. Però ci sono stati ospedali in cui non sono mancate le litigate con i medici, che prepotentemente si credono di conoscere tua figlia meglio di te e a tutti i costi vorrebbero escluderti dalle decisioni.

 

Ti ritrovi anche a riprendere infermieri che per sbaglio portano medicine che non sono quelle adatte. Insomma è una lotta continua, perché un giorno ti dicono una cosa e il giorno dopo te ne dicono un’altra. Si dovrebbero invece creare ospedali che fossero meno splendenti agli occhi e più competenti a livello di personale. Perché i genitori, quando entrano in queste strutture, dovrebbero sentirsi più sicuri, non ulteriormente stressati dall’ambiente”.

 

 

 

 

 

 

 


L’ospedale per la mamma di Federica

“Io ho un vero e proprio rigetto per gli ospedali – spiega la Mamma di Federica – perché ho avuto tante brutte esperienze con tutti e tre i miei figli, della serie: non mi son fatta mancare nulla. Ma qui vi parlerò delle traversie capitate alla mia piccola Federica. Tutto è iniziato con un mio sospetto, dal momento che quando ero in cinta avevo fatto la villocentesi e la ricerca della patologia Leucodistrofia Metacromatica aveva dato esito negativo. Eppure la bambina, intorno ai due anni, ha iniziato a manifestare i sintomi. È bastata una telefonata all’università di Napoli, da dove mancavo da 15 anni: in giornata venni convocata e dopo una settimana ricevetti la brutta notizia, in piedi, mentre avevo Fede in braccio e le stavo dando la frutta. Che squallore, rimasi in silenzio tutto il giorno. Si susseguirono tanti ricoveri di follow up dovuti al decorso della malattia e tante visite specialistiche, soprattutto neurologiche, alla ricerca del farmaco giusto per lenire le crisi epilettiche. Adesso, dopo tanti anni, è triste constatare nulla è migliorato, si sentono ripetere sempre le stesse frasi. Durante i ricoveri negli ospedali mancava sempre tutto, i farmaci o li portavo da casa se già erano in uso, oppure se erano nuovi li dovevo andare a comprare in farmacia nelle vicinanze.

Questo per i primi 5 anni. Poi Fede è passata alla rianimazione dell’Ospedale Santobono-Pausilipon. Entrammo in regime di urgenza per colpa di un repentino aggravamento e ne uscimmo dopo 5 mesi con tracheotomia, peg e pompa al baclofene. Che mesi terribili, umanità zero: trovavo sempre qualcosa che non andava. A volte trovavo Federica legata, altre volte addirittura sporca di feci, con bava fino alla schiena e lividi dappertutto. Risentita, amareggiata, addolorata, feci sempre notare tutto questo al personale, ma senza ottenere attenzione.

Oggi facciamo dei Day Hospital che sono ugualmente stressanti, perché Federica può essere trasportata solamente in ambulanza, che ogni volta arriva con enorme ritardo. Inoltre, per ogni consulenza deve aspettare in quegli ambulatori colmi di bambini, che per di più si trovano in sotterranei o in corridoi dove circolano correnti o troppo calde o troppo fredde. Io purtroppo ho sempre constatato mala sanità, e ad oggi purtroppo non ho nessun buon episodio da raccontare”.

 

 


L’ospedale per la mamma di Aurora

“Anche noi abbiamo vissuto situazioni simili – racconta la Mamma di Aurora -. Abitiamo in provincia di Prato, ma da quando al nostro ospedale di riferimento si è verificata una mancata diagnosi al Pronto soccorso, da due anni ricorriamo al Meyer di Firenze, dove prima andavamo soltanto per la consulenza di odontoiatria. Qui Aurora è stata presa in carico nella clinica del bimbo complesso interna all’ospedale, di cui non avevo mai sentito parlare prima. Ci tengo dunque a sottolineare il deficit di comunicazione tra gli ospedali e l’assenza d’informazione nei riguardi delle famiglie. Ognuno si attiene soltanto al proprio ambito e al proprio settore. Solo adesso che sappiamo che esiste ne possiamo usufruire, dopo molti anni di disservizi sulla pelle di Auri. L’esperienza al vecchio Meyer era stata orribile, poi con la nuova struttura c’è stato un salto di qualità, tant’è che oggi è un’eccellenza europea.

 

 

All’ospedale di Prato ho trovato infermieri e medici di umanità e competenza eccellenti, ma con le mani legate. La verità è che in ospedale si perde il pudore e non esiste intimità quando si sta ‘tutti insieme appassionatamente’. Negli anni ho incontrato genitori che assistono i propri piccoli da soli, dal momento che il personale dell’ospedale è spesso deficitario.

Quando non trovi nessun supporto fisico e psicologico, stremata e arrabbiata stai lì che vorresti rivoluzionare quel microcosmo in cui sei segregata, ma alla fine sai di essere una microparticella appena, e allora pensi solo ad assistere e curare tuo figlio. Lo tieni forte a te, e da sola devi decidere i No ai consensi informati, i No o i Sì a protocolli e procedure. E allora mi dico, sola per sola, rimango a casa più possibile”.

 

 

 

 

 


L’ospedale per la mamma di Natale

“Quando diagnosticano una malattia rara a tuo figlio la vita cambia inevitabilmente – spiega la Mamma di Natale – e una delle problematiche più frequenti sono appunto le diverse ospedalizzazioni. Otto anni fa a noi la diagnosi fu fatta al San Raffaele di Milano, e per la prima volta nella nostra vita io e mio marito abbiamo dovuto scontrarci con un colosso ospedaliero come quello, trovandoci davvero spiazzati. Innanzitutto per un problema logistico, tutti gli esami venivano fatti in day hospital e ogni volta per il bimbo e per noi era un vero e proprio massacro, sia fisico che psicologico.

Le competenze mediche ed infermieristiche in realtà non mancavano, ma quanta poca umanità abbiamo toccato con mano, soprattutto al momento della diagnosi. Da lì in avanti si sono susseguiti molti altri ricoveri in diversi ospedali d’Italia, ma vista la gravità della malattia di Natale, da parte dei medici c’è sempre troppa schiettezza nel prospettarci il non-futuro. Ecco perché, alla fine, abbiamo deciso di far seguire Natale a Rimini, dove abitiamo.

Negli anni a seguire abbiamo potuto contare sui nostri medici di riferimento che ormai conoscono il bambino, e devo dire che sono stati fatti molti passi in avanti per seguire i bimbi cronici a 360 gradi. Il servizio Adi funziona abbastanza, anche se spesso sono restii nella fornitura dei materiali. Altra cosa importante, vista la gravità delle condizioni in cui versa Natale, riguarda una giusta assistenza infermieristica che mi sarei aspettata ma che in realtà manca.

 

 

Motivo per cui in questi anni ho acquisito una laurea ad honorem come infermiera, medico, psicologo ecc, che come dico sempre io, fa parte del pacchetto di competenze che noi genitori acquisiamo per far fronte a tutte le esigenze di un figlio affetto da malattia rara”.

 

 


Grazie a tutti per l’attenzione!

La Redazione di “Finestra su Casa Voa Voa” ringrazia le Mamme e i Papà, membri della chat, per la preziosa collaborazione.

Barbara 

Caterina

Giacomo

Guido 

Maurizio