Il Pediatra dei Bimbi #rarinonivisibili

- Redazione

Il ruolo del pediatra risulta essenziale nella presa in carico e nell’accudimento dei Bambini affetti da patologie neuro degenerative rare, la cui diagnosi non sempre viene fatta precocemente per via dell’insorgenza dei sintomi entro mesi o anni dalla nascita. Dal momento della conclamazione della malattia però diventa assai difficile per la famiglia fare fonte alle nuove necessità del bimbo che, per via della repentina e costante degenerazione neurologica, aumentano di giorno in giorno. La figura del pediatra è dunque di fondamentale importanza nel lavoro di orientamento e affiancamento alla famiglia, come primo punto di rifermento per i genitori, ma anche come figura di raccordo tra la medicina territoriale e l’ospedale. L’esperienza del pediatra è preziosa soprattutto per evitare ai genitori di dover correre spesso in ospedale e sottoporre il bambino a ricoveri per situazioni che, seppur gravi e complesse, possono essere gestite a casa.

 

Purtroppo, come vedremo leggendo le testimonianze delle mamme Voa Voa, nella maggioranza dei casi ai pediatri di base manca completamente la formazione necessaria per svolgere il proprio compito nei confronti dei piccoli malati rari. Dall’osservazione del bambino a casa o in ambulatorio, al pediatra di base spetta il compito importantissimo di sollevare precocemente o tardivamente il primo sospetto diagnostico che può tradursi nel vero e proprio inizio di quella fase diagnostica che tramite il ricovero in ospedale porterà, anche se non sempre, a conoscere il nome della patologia. Solitamente, a meno di rare eccezioni, i pediatri non hanno le competenze necessarie per assistere malattie rare e multisistemiche in modo utile. In questo nuovo numero di Finestra su Casa Voa Voa, le Mamme dei Bambini Speciali raccontano quanto concretamente il pediatra di base sia stato o meno, nei loro casi specifici, competente, attento, comprensivo e partecipe.

Come vedrete la questione che emerge con più forza è proprio il fatto che ai pediatri di base manchino la formazione, e quanto il questa lacuna comprometta la presa in cura del bambino la cui efficacia diventa un fattore variabile e discrezionale rispetto all’iniziativa del singolo professionista, piuttosto che la conseguenza di uno standard assistenziale qualitativamente omogeneo e correttamente strutturato in grado di coordinare la pediatria territoriale con quella specialistica. Sta dunque alla coscienza del pediatra decidere se sottrarsi alle proprie responsabilità alzando le braccia, o cercare di documentarsi su come essere utile alla famiglia stabilendo un dialogo con il centro di riferimento, superando le note difficoltà relazionali con la medicina specialistica, spesso colpevole di alterigia nei confronti della medicina di base. Ma purtroppo, anche se esistono moltissimi professionisti di alto livello etico e morale che intendono farlo, non potranno contare su protocolli assistenziali strutturati in grado di fornirgli strumenti formativi concreti.

 


Il pediatra di Natale

“Quando è nato mio figlio, non essendo del posto, ci siamo fatti consigliare da un amico per la scelta del pediatra – ricorda la Mamma di Natale –. Tutto scorreva liscio fino a quando cominciai a notare un ritardo motorio per me anomalo. Essendo educatrice, di bimbi ne avevo visti tanti, e secondo me Natale aveva qualcosa che non andava. Iniziai ad esporre al pediatra tutte le mie preoccupazioni, ma lui sottolineava sempre che un ritardo motorio a quell’età ci poteva pure stare. Insistetti fino a quando, vedendomi terrorizzata, finalmente acconsentì ad una visita neuropsichiatrica, e solo dopo le indagini strumentali capimmo da quale patologia fosse affetto Natale, la Leucodistofia Metacromatica.

A quel punto il pediatra si disse molto dispiaciuto, addirittura non aveva mai sentito parlare di una patologia simile.

Dopo un po’, per la sua insicurezza e oramai la poca fiducia che avevamo nei suoi confronti, decidemmo di cambiarlo, ma non è stato affatto facile trovarne un altro disposto a prendere in carico Natale. Presi l’elenco e li chiamai uno a uno, fino a che non trovai una brava pediatra che accettò di seguirlo. Due anni fa, purtroppo, dopo il cambio di residenza ho dovuto cercarne un’altra. Una l’ho trovata ma è come se non ci fosse: gentile, forse competente, ma con noi è molto insicura e per ogni cosa ci rimanda in ospedale. Quindi alla fine preferisco fare affidamento direttamente sui medici ospedalieri, oppure faccio addirittura da sola. Tanto alla fine si sa, finché va tutto bene i dottori sono tutti bravi. Senza contare che ci sono quelli che preferiscono curare i pazienti sani, e lì mi chiedo: valeva la pena studiare medicina per tanti anni?”.

 


Il pediatra di Rossana

La dr.ssa Florio con Rossanina durante i giorni del Voa voa da Noi.

“Mia figlia è stata seguita dai due pediatri di base che esercitano nella cittadina dove viviamo, Bordighera Ligure – ricorda la Mamma di Rossana -. Fino ai 9 mesi da un pediatra molto attento e scrupoloso, a cui sicuramente dobbiamo il fatto che, nel giro di pochi giorni dall’esordio dei sintomi, siamo riusciti a risalire alla diagnosi. Quello che però mi ha lasciato senza parole, è stato l’atteggiamento che lo stesso pediatra ha assunto dal momento del rientro a casa dall’ospedale Gaslini di Genova, da dove ci dimisero lasciandoci totalmente nelle sue mani. Nonostante l’esperienza, essendosi occupato di pochissimi bimbi complessi, invece di venirci incontro ‘ostacolava’ le nostre scelte nel provare a sentire altri centri. Non aveva mai tempo per ‘studiare’ gli integratori che gli proponevo dopo ore ed ore di ricerche o di confronti con le poche mamme che conoscevo, non ha saputo seguirci e aiutarci nello svezzamento. Purtroppo esistono medici che, di fronte ai limiti della medicina e alla mancanza di cure, alzano semplicemente le mani, si arrendono e non si occupano più di nulla, convinti che tanto non serva. A cosa serve, per esempio, dare una tachipirina o altri farmaci a una bimba che piange ore e ore per colpa di un ipertono? E così a un certo punto smisi di ascoltarlo e iniziai a fare ‘da sola’, anche se in realtà consultavo chiunque fosse competente e potesse consigliarmi su dosaggi e farmaci. Sono arrivata persino a chiamare direttamente le case farmaceutiche o i laboratori. Era però chiaro che, con l’evolversi della malattia, questa situazione non poteva continuare. Dopo l’incontro con Voa Voa però, il supporto medico intorno a noi ha subito una svolta, perché finalmente avevamo una sorta di presa in carico, anche se non istituzionale, da una piccola rete creata da noi e dai medici che avevamo incontrato con il progetto Voa Voa da Noi. Per quel che riguarda il pediatra di base, dopo averne parlato con la specialista siamo andati a bussare allo studio accanto, alla Dottoressa Rosella Trucchi, che poi è diventata uno degli angeli di Rossana. Ha accettato l’incarico, e anche se inizialmente mi parve molto intimidita, in realtà stava ‘studiando’ la situazione della nostra bambina. Ha saputo occuparsi di lei nonostante fosse complessa, nonostante fosse la prima malata di quel tipo che le fosse capitata, ben consapevole di tutte le nostre scelte. Sempre attenta e presente, ogni volta che aveva dubbi consultava la specialista. Veniva e rimaneva a casa nostra tutto il tempo necessario per osservare la piccola nella quotidianità. Con l’evolversi della malattia, se non ero io a chiamarla regolarmente, lo faceva lei stessa, anche solo per darmi un segno di conforto e di sicura presenza”.

 


Il pediatra di Sofia

“La prima pediatra di Sofia è stata un’esperienza negativa. Quando intorno all’anno e mezzo si presentò una febbre anomala che si alzava e abbassava nel corso della giornata – spiega la Mamma di Sofia mi preoccupai e fissai un appuntamento da lei a studio. Però quello stesso giorno la febbre si era alzata tantissimo ed ebbi paura di far uscire la bimba di casa. Temporeggiai fino a 5 minuti prima dell’ora dell’appuntamento (abitavamo a cento metri dallo studio), poi chiamai la Dottoressa per farmi consigliare se fosse stato meglio uscire in pieno inverno con quella febbre o darle un farmaco da casa. Al telefono mi rispose così: “Lei non è ancora arrivata e io ho mamme in sala d’attesa che aspettano di entrare da 20 minuti per colpa del suo ritardo (non ero ancora in ritardo nemmeno di un minuto). Non solo non accetto più di visitare sua figlia, ma saremo tutti più contenti se vorrà cambiare pediatra”. Ricordandomi delle interminabili attese che avevo fatto davanti alla sua porta anche quando ero arrivata parecchio in anticipo, le risposi che la sua reazione mi sembrava eccessiva, e che se mi trovavo ancora a casa era perché la bambina sembrava esanime ed ero spaventata. Mi attaccò il telefono in faccia. Allora chiamai Guido in lacrime, dicendogli che davvero la reazione della Dottoressa mi era sembrata eccessiva. Lui la richiamò a sua volta mentre era a lavoro. “Dottoressa che succede?”, “Sua moglie è stata offensiva e maleducata, mi ha detto che io le faccio fare anticamera” e iniziò a fare il verso della mia voce a presa di giro. “Mia moglie non ha quella voce e non l’ho mai sentita rivolgersi a nessuno in modo maleducato”. E lei: “Mi sta dando della bugiarda”. “No, le sto solo dicendo che saremo ben felici anche noi di cambiare pediatra, ma siccome non riusciremo a farlo nelle prossime due ore e Sofia sta male sul serio, ora le dico cosa faremo: lei finisce il giro di visite, poi vengo a prenderla al suo studio e la porto a casa Mia, dove visiterà Sofia per l’ultima volta”. Accadde proprio questo. Di lì a pochi giorni scoprimmo che la febbre della bambina era l’esordio dei sintomi della patologia che ce l’avrebbe portata via sette anni dopo. Prima di ottenere il cambio del pediatra (le liste di attesa erano di alcune settimane) dovemmo tornare a chiedere a quella squilibrata la firma sul certificato di invalidità per avviare certe pratiche necessarie. Si rifiutò, dicendo che non era sua competenza. Dopo di lei i pediatri di base che si sono succeduti nei vari cambi di residenza sono stati comprensivi e disponibili, ma nessuno è mai stato preparato per seguire un bambino raro e gravissimo come Sofia. Troppo spaventati, ci hanno sempre rimandato all’ospedale. Grazie a Dio, dopo due anni dalla diagnosi, trascorsi in completa solitudine e brancolamenti nel buio in cerca di aiuto medico, chiamammo la dottoressa Paola Leone che negli Stati Uniti si occupa di ricerca sulla Leucodistrofia di Canavan. “Dottoressa non sappiamo più a chi chiedere aiuto, sembra che i pediatri non conoscano questo genere di patologie e non sanno consigliarci niente di utile per lenire le sofferenze della bambina” (Sofia non faceva che piangere per tutta la notte e non dormivamo da mesi). Ci venne fatto il nome di Imma Florio, una pediatra di Benevento che aveva seguito un percorso di formazione presso l’ospedale statunitense dove esercita la dottoressa Leone.

Chiamai Imma per la prima volta: “Avete una bimba Metacromatica? Non abbiate paura, arrivo a casa vostra questo fine settimana e valutiamo insieme la situazione”. Imma fece 3 ore di viaggio in macchina per raggiungerci e stette con noi due giorni senza chiedere un soldo.

Osservò Sofia in ogni momento della giornata e la notte, ci diede moltissimi consigli. Da quel giorno è stata lei la Referente di Sofia e di tanti altri bambini come lei in tutta Italia. Collabora costantemente con la Onlus e dalla nostra esperienza con lei è nata l’idea del progetto Voa Voa da Noi”.

 


Il pediatra di Federica

“Federica ha avuto tre pediatri di base. Il primo, fino a 2 anni diceva che andava tutto bene, e anche se già avevo notato i primi sintomi della patologia, lui riusciva sempre a trovare una spiegazione – ricorda la Mamma di Federica -. La piccola urlava tutte le notti e lui diceva che era per la ‘paura dei brutti sogni’; quando beveva tossiva e per lui non era ‘disfagia’; non scendeva le scale da sola e per lui era semplicemente ‘cauta’. Insomma ho dovuto pagare e andare a visite private per essere ascoltata. Col secondo pediatra ancora peggio: gli dovevo sempre riportare indietro le ricette, che sbagliava puntualmente, e persino il certificato di invalidità ho dovuto farglielo rifare (e pagare) due volte. Il terzo, che ora la segue, si limita a prescrivermi le ricette dei farmaci. Non sa nulla di bimbi con malattie rare, e quando viene a casa, due volte al mese, è curioso e mi fa mille domande sui macchinari. Ecco, per me i medici non sono né idonei né formati alla corretta presa in carico di un bambino speciale”.

 


Il pediatra di Francesco

“A volte i dottori, non capendoci niente, parlano a vanvera. Sono pochi quelli che ammettono di non avere sufficienti competenze – spiega la Mamma di Francesco -. A me fu addirittura la neuropsichiatra a dire che Francesco piangeva nel sonno perché aveva paura, mentre al Gaslini di Genova dissero che aveva dolori non appena si sdraiava. Infatti col ciclo di cortisone e la cura che sta facendo adesso, piange meno. La stessa dottoressa aveva addirittura pensato di prescrivergli un farmaco, ma il cardiologo disse di no era ancora piccolo per gli psicofarmaci. Per quanto riguarda l’attuale pediatra di Francesco, si sforza di capire la patologia e ogni volta che il piccolo viene ricoverato, mi chiede sempre la copia della relazione per essere informata e sapere come comportarsi”.

 


Il pediatra di Leonardo e Letizia

“Appena nata Letizia ha avuto una pediatria di base che l’ha visitata solo per i primi mesi, e chiaramente, considerando i suoi comportamenti e la sua crescita nella norma, non si è accorta che aveva problemi genetici. Per fortuna il medico di base della mia famiglia è di vecchio stampo e con una certa esperienza. Sempre molto gentile e disponibile, era anche pediatra e aveva uno studio privato – spiega la Mamma di Leonardo e Letizia, perciò dopo i due mesi ho preferito affidarmi solo a lui. Intorno ai 5 mesi Letizia mi sembrava molto pigra, ma secondo la sua diagnosi era lenta per via del sovrappeso. Visto però che non afferrava gli oggetti e non riusciva a sostenersi seduta ci consigliò di fare una visita al Meyer. Purtroppo non abbiamo fatto in tempo ad andare all’appuntamento che siamo dovuti correre in emergenza per via di una crisi epilettica. Era la prima che vedevo in vita mia, mi sembrava stesse morendo perché non respirava più e non sapevo cosa le stesse succedendo. Nonostante il ricovero e le indagini di ogni tipo, non abbiamo mai avuto una diagnosi, solo il sospetto di una malattia metabolica mitocondriale. Nel corso della crescita, il nostro pediatra privato ha continuato a seguire Letizia e Leonardo, a darci molti consigli e a rendersi sempre disponibile e reperibile anche quando è andato in pensione. Nel frattempo ho dovuto trovare un medico di base perché sostenere continuamente visite private sarebbe stato impossibile. Mi è stata indicata una dottoressa che fino ad oggi, nonostante Leti abbia 18 anni e Leo 17, ci segue sempre. È una persona disponibilissima e molto comprensiva, anche se per lei questo è uno dei primi casi con due fratelli affetti da una malattia senza diagnosi, dunque non facili da gestire. Li visita, riconosce i disturbi e interviene di volta in volta per far fronte alle svariate problematiche respiratorie di cui soffrono. Un approccio di questo tipo risulta fondamentale prima di approdare in ospedale. Questo sì che è un giusto rapporto tra medico e genitore, e dovrebbe essere così per tutti i pediatri, anche se purtroppo accade raramente.

Nel mio caso posso dire che i pediatri hanno imparato a gestire i mie figli insieme a me.

Chiaramente non potevo pretendere da loro risposte che nemmeno i più grandi ospedali come il Meyer, il Bambino Gesù o il Gaslini sono riusciti a darci”.

 


Il pediatra di Benedetta

“Mia figlia finora è stata ‘seguita’ da 4 diversi pediatri – spiega la Mamma di Benedetta. Il primo lo avevamo scelto noi, ci sembrava il più umano e tranquillo, per il primo figlio non volevamo ansie inutili. E lui tranquillo lo è stato davvero: ad ogni tappa che Benedetta non raggiungeva ci rassicurava, dicendo che ogni bimbo si prende il suo tempo. Quando Benedetta compì un anno è andato in pensione, ed è subentrata la seconda pediatra, che dopo qualche mese di osservazione ha preso coraggio e ci ha consigliato, in un primo tempo, di avviare per la piccola i1 percorso di neuropsicomotricità, dopodiché ha preso contatto personalmente con il centro di Pavia presso il quale la piccola è seguita ancora oggi. Purtroppo quando Benedetta aveva quasi 3 anni si è trasferita lontano e a malincuore non abbiamo potuto seguirla. Nel frattempo era arrivato anche il secondogenito Pietro, che a quel punto aveva 1 anno, e allora abbiamo preferito avere un riferimento più vicino. L’incarico del terzo pediatra è durato circa 6 mesi: al primo incontro, guardando Benedetta, ci ha tenuto a consigliarci di evitare ulteriori gravidanze. Senza rimpianti abbiamo accolto la notizia del trasferimento e l’arrivo della quarta pediatra, che è poi l’attuale di Benedetta. Ha avuto in passato altri piccoli pazienti con patologie rare, e specie all’inizio, c’è sembrata attenta e propositiva. Non è però mai venuta a casa a visitarla, anche quando secondo noi sarebbe stato opportuno. Quando capita che Benedetta abbia un crollo generale, com’è accaduto nell’ultimo mese, procede a tentoni come noi, e per maggiore sicurezza ci affida al parere degli specialisti che seguono la piccola. Avremmo bisogno di una spalla più presente e più sicura, anche se siamo coscienti che l’assenza di diagnosi complica le cose”.

 


Il pediatra di Aurora

“Sono grata al nostro medico, peccato che tra poco andrà in pensione. Non è stato il primo pediatra di mia figlia – spiega la Mamma di Aurora –. La dottoressa che ha seguito per un anno e mezzo la mia piccola prima di lui, non ci stava capendo nulla. La pediatra di base assegnata fece fare alla piccola mille esami, convinta si trattasse di una bimba allergica, dal momento che aveva tosse e difficoltà respiratoria. Non sapevo dove sbattere la testa, e allora mi rivolsi al pediatra dei miei nipoti, chiedendogli di visitare Aurora. Lo fece e con le lacrime agli occhi disse: “La sua bambina non cammina perché il problema parte dalla testa”. Da allora sono iniziate le indagini della sua patologia, il consapevole calvario e la lotta contro un nemico senza nome. Anche se non la vede molto perché Aurora fa visite specialistiche, sono tranquilla che se lo chiamo corre, come è già successo. Ora che andrà in pensione, vista l’età di Aurora dovrò segnarla al medico di famiglia, che comunque la conosce bene ed è stato presente anche quando poteva non esserci. Diciamo che noi andiamo avanti grazie al buonsenso e all’etica di questi dottori, che rendono così meno amara la situazione del sistema sanitario”.

 


Il pediatra di Gabriele

“Lele è seguito da un bravo pediatra, che ci prescrive qualsiasi cosa di cui lui necessiti. Mi dà consigli su dove portarlo per le visite, mi chiede se lo sento con i rantoli profondi, e in quel caso gli prescrive l’antibiotico in puntura. In pratica – spiega la Mamma di Gabriele – il pediatra vede più me che il bambino, perché se posso evito di portarlo in un covo di batteri (essendo Lele immunodepresso). Si fida del mio giudizio e mi dà coraggio. Ad esempio quando abbiamo iniziato le infusioni domiciliari di immunoglobuline io ero un po’ tesa, ma mi ha incoraggiata dicendomi: “Se non se la sente, venga qui che se ne occuperanno le infermiere”.  E proprio questo paracadute mi ha dato sicurezza, tant’è che ora le faccio tranquillamente a casa”.

Grazie a tutti per l’attenzione!

La Redazione di “Finestra su Casa Voa Voa” ringrazia le Mamme e i Papà, membri della chat, per la preziosa collaborazione.

Barbara 

Caterina

Giacomo

Guido 

Maurizio

 

Voa Voa!

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