Quando la MLD bussa due volte: la battaglia di mamma Luisa

- Guido De Barros

In tempo di Coronavirus e blocco quasi assoluto della società come la conosciamo, abbiamo tutti paura. Paura per noi stessi, per i nostri cari, paura per quella parte di società, indifesa e vulnerabile, costituita dagli anziani, dai malati e dai nostri bambini speciali. Voa Voa! Amici di Sofia propone un focus sulle vite straordinarie di genitori e figli che combattono la battaglia contro una malattia rara nella silenziosa trincea della quotidianità, invisibile al mondo oltre le mura domestiche.  Un progetto di sensibilizzazione afferente la Campagna #Rarinoninvisibili, che abbiamo voluto chiamare per l’appunto, “Vite rare, non invisibili” , attraverso il quale Voa Voa Onlus toccherà i vostri cuori, raccontando storie di straordinaria quotidianità e facendovi fare un tuffo nelle grandi emozioni che alimentano il motore della nostra associazione, l’impegno dei volontari e il sostegno dei donatori.

Federica ha grandi occhi scuri, il cuore pieno di dolcezza e due calde manine che adorano intrecciare le dita con quelle di mamma Luisa. Fino a quando ha potuto farlo, Federica ha sorriso contagiando il mondo intero. In una foto che conservo come dono prezioso di Luisa, Federica è una bimba di due anni affacciata ad una balaustra a picco sugli scogli della baia napoletana, con il sole sulla faccia e il suo solito sorriso contagioso, impossibile da dimenticare.

Pochi mesi dopo quello scatto, la patologia genetica rara da cui è affetta si è manifestata, in una maniera violenta e travolgente, come sempre fanno le malattie tardo infantili degenerative, quando lasciano esplodere la sintomatologia.

Si parla di Leucodistrofia Metacromatica (MLD), i frequentatori delle pagine virtuali di Voa Voa Onlus la conoscono purtroppo bene. Si parla, soprattutto, di una diagnosi sbagliata, perché Luisa aveva già visto ammalarsi Rosa, la prima figlia, della stessa malattia, quando ancora non sospettava neppure di essere una portatrice sana di MLD. Poi era rimasta incinta di Federica e subito si era recata all’Ospedale di Napoli per eseguire gli accertamenti che poi si sono rivelati inappropriati e superficiali (di qui l’importanza di una diagnosi precoce efficace e corretta, per la quale Voa Voa si batte da anni). “Tutto a posto” le avevano detto i medici. Eppure la bambina si è ammalata.

Ma Luisa non è (non è mai stata) una donna che si piange addosso. Come già aveva fatto per la sua adorata Rosa, si è tirata su le maniche e si è messa a combattere di nuovo, perché nella piccola provincia di Napoli dove vive insieme al figlio più grande Luigi, non è facile ottenere quel che spetta di diritto ad un malato pediatrico gravissimo. «Oggi Federica ha 11 anni e la malattia nel frattempo è andata avanti in maniera devastante -spiega Luisa-. Mia figlia non cammina più, non si muove, non parla. Persino il suo magnifico sorriso è sparito per sempre. Per mangiare ha bisogno della p.e.g., per respirare ha bisogno della tracheostomia. La mia bambina vive attaccata alle macchine, e per me che sono sola ad accudirla è impossibile anche solo pensare di portarla fuori per una passeggiata».

Alla domanda “Se potessi chiedere qualcosa capace di migliorare la vita tua e di Federica cosa vorresti?” Luisa risponde senza esitare un attimo «Chiederei ai centri che ottengono in appalto la fornitura dei servizi ai disabili gravissimi come mia figlia di formare in maniera corretta il proprio personale sanitario. Invece mandano nelle case dei malati infermieri inesperti che devono imparare quasi tutto, e a noi mamme spetta il compito di formarli. Chiederei anche che non venissero sostituiti così di frequente come invece accade, perché mi ritrovo spesso a dover ricominciare tutto daccapo. I bambini gravissimi hanno bisogno di continuità; le abitudini che con pazienza e dolcezza costruiamo tutti i giorni devono essere mantenute e rispettate. Soprattutto se stiamo parlando di pazienti ciechi come Federica, che da quando ha perduto anche la vista ha imparato a riconoscere le persone dal tocco delle mani e dalla voce. Ecco perché per lei è uno stress in più doversi affidare continuamente a mani sconosciute. Servirebbe anche un numero maggiore di ore di assistenza, perché per colpa delle crisi epilettiche farmaco resistenti mia figlia la notte non riesce a riposare, di conseguenza neanche io chiudo occhio da anni.»

Però mi hai detto che alcune ore di assistenza te le hanno garantite tutti i giorni, giusto?

«Sì, ma ho dovuto combattere parecchio. Quando sei anni fa, dopo l’ennesimo ricovero, Federica tornò a casa con la p.e.g nella pancia e la tracheostomia nella gola, l’unica assistenza che mi concedettero fu un infermiere che veniva mezz’ora al giorno per cambiare le medicazioni. Non avevo esperienza di come gestire la situazione, e le macchine da cui la vita di mia figlia dipendeva completamente suonavano di continuo per segnalare un pericolo, tanto di giorno quanto di notte. Pensai che un giorno o l’altro sarei impazzita e che la mia Federica mi sarebbe morta sotto gli occhi per qualche errore dovuto all’infinita stanchezza che mi affliggeva. Rispetto a Rosa, che mi aveva lasciata prima di arrivare ad essere attaccata alle macchine, Federica ha avuto bisogno di un’assistenza medico infermieristica h24. Decisi dunque di contattare Comune e assistenti sociali per ottenere un aiuto. Dopo una serie di rimpalli, parlando con altre mamme in condizioni simili alla mia che risiedevano nei comuni limitrofi, scoprii che si potevano ottenere 36 ore settimanali di assistenza, facendo riferimento alla ASL Napoli2 e al Centro Hinfan che per essa gestisce l’assistenza ai malati gravissimi. Presentai la domanda e da allora, almeno, ho potuto ricominciare a respirare.»

Hai detto che facesti appello anche al tuo Comune di residenza. Riuscisti ad ottenere qualcosa?

«Inizialmente mi mandarono una Operatrice Sanitaria, che però dopo poco tempo mi è stata revocata per mancanza di personale. Per un anno ottenni anche l’assegno di cura, visto che per stare con Federica non posso lavorare. Adesso però mi hanno tolto anche quello perché i fondi scarseggiano e le famiglie bisognose sono tante. Perciò ho depositato una nuova domanda e ora sto aspettando che si ripresenti il mio turno.»

Luisa, come utilizzi le ore di assistenza infermieristica che hai ottenuto?

«Federica ormai è grande, quasi alta quanto me e pesa molto. Da sola non riesco più a spostarla e, purtroppo, neppure a prenderla in collo come mi piaceva fare fino a poco tempo fa. E siccome lei ha sempre adorato fare il bagno, quando la mattina alle 8 l’infermiera si presenta a casa nostra la prima cosa che facciamo è lavare e sistemare la bambina. Stiamo parlando di un’operazione che richiede quasi tre ore e coinvolge tre locali della casa, ciascuno dei quali deve essere sterilizzato ed attrezzato con tutti i macchinari salvavita prima che Federica vi sia trasferita. Partiamo dalla camera da letto, ci spostiamo in bagno dove ci sono già vasca pronta, stufa accesa, aspira muchi, saturimetro, pallone ambu ecc… Poi andiamo in cucina, dove sterilizzo e attrezzo il tavolo per le medicazioni. Anche qui deve essere preventivamente accesa una seconda stufa e predisposto tutto il materiale di pronto intervento in caso Federica abbia una crisi di quelle brutte. Alla fine torniamo in camera. Ogni ambiente deve essere nuovamente disinfettato e sterilizzato con Amuchina. Inoltre alcune delle parti dei vari macchinari devono essere sostituite regolarmente, secondo le indicazioni dell’ospedale, perché le date di scadenza non consentono imprecisioni. Dunque tengo un’agenda compilata con tutte le scadenze per le sostituzioni dei filtri, dei lacci, dei circuiti delle vaschette degli aspira muchi ecc… Sull’agenda sono segnate anche le moltissime medicine che servono a Federica per sedare le crisi epilettiche di cui, nonostante tutto, è drammaticamente vittima».

Luisa mi racconta la sua routine ed io sento tutto il peso del dolore nelle sue parole, come è logico aspettarsi da una mamma che è stata costretta a trasformarsi in un medico del pronto soccorso, pur di permettere alla propria figlia di continuare vivere. Però il tono della voce le cambia, riscaldandosi e addolcendosi improvvisamente, quando le chiedo di descrivermi qualche momento bello insieme a Federica. «Con la mia Federica è bello sempre. Lei mi dà la forza di sorridere, ogni volta che stringe la mia mano perché intuisce che stiamo per farle il bagno ed asciugarle i capelli. Lei ha sempre adorato questo piccolo rito quotidiano ed io faccio in modo di non farglielo mancare mai. Il pomeriggio, quando rimaniamo sole, trasformiamo i nostri momenti in una magia. Io mi infilo piano piano nel suo letto e rimango abbracciata a lei, mentre le racconto tante piccole cose, oppure le faccio ascoltare qualche musica.»

In punta di piedi e con il cuore gonfio di mille emozioni, ci siamo avvicinati a Luisa e a Federica per comprendere quali fossero i loro bisogni più urgenti. Grati di averle potuto dare una mano attraverso il fondo annuale destinato alle famiglie di Voa Voa Onlus Amici di Sofia, grazie al quale siamo in grado di rimborsare una parte delle pesantissime spese che ogni famiglia socia deve sostenere per garantire una qualità di vita dignitosa al proprio bambino. Dalla fisioterapia alla logopedia, dagli integratori ai presidi ortopedici ecc. Nessuno meglio di una mamma e di un papà speciali, che vivono in simbiosi col proprio bimbo, sanno cosa è necessario per farlo stare anche solo un poco meglio, nonostante la terribile patologia. Quest’anno Luisa ha deciso che il fondo Voa Voa dovesse servire a Federica per beneficiare di più ore di assistenza infermieristica. Ringraziamo chi legge per aver contribuito a rendere possibile questo piccolo miracolo e, soprattutto, per aver accettato di condividere con noi la storia di una grande esperienza d’amore, quella di Luisa e della sua piccola grande Federica…adesso anche un pochino nostra.

 

Caterina Ceccuti

e G. De Barros