I genitori caregiver dei bambini #rarinoninvisibili

- Redazione

In questo nuovo capitolo dedicato ai racconti delle Mamme di Bambini Speciali, Finestra Voa Voa si apre su una loro giornata tipo. Per voi lettori, le Mamme hanno aperto le porte della propria casa e quelle della cameretta dei propri piccoli, per consegnare attimi di vita quotidiana che attestano quanta dedizione e fatica occorrono per dedicarsi, quotidianamente, alla cura e al sostegno dei proprio bimbi. A tal proposito, Voa Voa Onlus ha sempre sollecitato in modo energico il doveroso impegno istituzionale per colmare il ‘gap’ tra bisogni e necessità reali da una parte, e le normative, nel migliore dei casi, lacunose a danno dei reali destinatari: le famiglie con disabilità. Una lunga battaglia civile e socio-sanitaria cui Voa Voa ha deciso di aderire, scendendo in campo al fianco del Coordinamento Nazionale Famiglie Disabili, per tutelare la condizione di Caregiver familiari, quali appunto i genitori dei bambini malati. L’Italia resta l’unico Paese europeo a non aver emanato norme a sostegno di questa figura, troppo spesso sovrapposta ad altre. Nelle testimonianze che le Mamme hanno affidato a Finestra Voa Voa, traspare dunque speranza ma anche rabbia per il colpevole vuoto legislativo, che ha portato per decenni al non vedere riconosciuto il proprio ruolo di servizio, sulla base delle attività e indispensabili finalità di questa figura. Chi si prende cura di un non autosufficiente con gravi disabilità, come lo sono i Bambini Speciali, lo fa infatti 24 ore su 24. Cosa ben diversa da coloro che forniscono assistenza a persone che hanno bisogno di sostegni e aiuti limitati nel tempo. Poco consola il fatto che i Caregiver famigliari dal 27 settembre 2017 possono contare su un Testo Unificato che introduce al loro riconoscimento. In Commissione Lavoro del Senato è stato presentato infatti uno schema di testo unificato, che però non solo “non comporta oneri aggiuntivi di finanza pubblica”, che dunque vede rinviata la quantificazione delle risorse che lo Stato destinerà loro alla Legge di bilancio annuale; ma non menziona alcun diritto riconosciuto al cosiddetto ‘Prestatore Volontario di Cura’. Si tratterebbe quindi di un semplice riconoscimento formale per i Caregiver, che fino ad oggi sono stati ‘invisibili’. Ma solo come primo passo. Quest’emergenza sociale resta dunque in attesa urgente di risposte. L’obiettivo rimane quello di produrre, nel minor tempo possibile, una normativa coerente, completa e attenta a tutti gli aspetti che coinvolgono il Caregiver Familiare: da quelli sanitari a quelli psicologici. E addentrandovi nei seguenti resoconti delle Mamme Voa Voa, potrete avere testimonianza concreta delle giornate tipo di assistenza ai Bambini Speciali: ossia delle dolorose e faticose giornate da Caregiver.

 


La giornata di mamma Chiara

“Magari poter descrivere una giornata ‘tipo’ del family Caregiver – spiega la Mamma di Gabrieleperché significherebbe nel mio caso avere una vita regolare. Invece dobbiamo fare sempre i salti mortali, perché ogni giorno è diverso dall’altro. Perciò non si riesce a organizzare nulla per il futuro, futuro inteso anche come il giorno dopo. È un paradosso: noi per Gabriele (sindrome assimilabile alla Klinefertel) dobbiamo essere sempre super organizzati: borsa per eventuali ricoveri di emergenza sempre pronta, scorte di cibo perché spesso le case produttrici tagliano le linee poco redditizie, scorte di medicinali perché capitano giorni e giorni se non addirittura mesi, in cui non si può uscire. Scorte di vestitini perché può essere che per un ricovero occorra il pigiama di cotone, mentre a casa usiamo già abiti felpati. E così via. Ma puntualmente arriva sempre qualcosa a distruggere i nostri piani. Una visita andata male a cui devono seguire controlli obbligatori repentini. Il signor catarro che devasta il bambino. La signora polmonite sconfitta da Lele ben bove volte. E nel frattempo l’unica nonna che ci può aiutare, benché sia anziana, deve fare accertamenti o delle visite. Insomma, la mia giornata tipo non esiste. Esistono invece giornate perse negli uffici perché la burocrazia ti uccide, oppure fitte di appuntamenti con gli enti affinché non calpestino i diritti inalienabili di Lele.

Ore e ore a fare terapie. E se il destino ce lo permette, tra uno spiraglio e l’altro di Vita, andiamo al parco giochi (a vedere gli altri bambini che giocano), oppure partecipiamo a un’attività in città: comics, biblioteca, giostrine, ecc. Per noi non esistono medici e infermieri, a fare le ‘cose’ sono sempre sola. Tipo stamani, dopo avergli preparato le medicine, la colazione e averlo imboccato, come ogni domenica gli faccio l’infusione, che dura tra tutto circa due ore. Devo tenere la mano sull’accesso altrimenti l’ago esce. Lui sta fermo fermo dal terrore, e dopo due ore finalmente lo ‘libero’ e Lele è ovviamente di umore nero. Gli preparo il passato, lo imbocco (gli ci vuole circa 45 minuti), spesso gli prende il vomito (ha il reflusso), poi mi preparo il pranzo, mangio mentre Lele in cerca di compagnia per giocare (che non trova perché non c’è) piange, urla, cade, lancia oggetti. Riesco a mangiare e a ripulire. Gli preparo la merenda presto perché la domenica gli faccio la vaschetta con i giochi. Lo imbocco, ci gioco (oggi ho messo via i vestiti leggeri e piccoli mentre lui faceva i capricci perché da solo non sa giocare). Allora mio marito ci ha giocato un’oretta. Io intanto ho sistemato la casa, scaldato il bagno, preparato le spugne calde, il sapone ecc. Tutto deve essere sempre uguale, altrimenti Lele non lo accetta, o non lo riconosce. Lo lascio a mollo così lui gioca sotto mia stretta sorveglianza. Nel bagno c’è un caldo tropicale. Gli aggiungo acqua calda ogni pochino. Lo lavo. Chiamo mio marito che mi aiuti per lavare i capelli e per tirarlo fuori dall’acqua. Lo asciugo, lui si oppone e per vestirlo e asciugargli i capelli devo essere veloce e precisa. Per pettinarlo devo prima fargli vedere la spazzola, altrimenti si ribella. Gli preparo le cena, stasera mi ha detto che il brodo era cattivo e gli ho preparato tutto di nuovo. Lo imbocco raccontandogli sempre qualche favola inventata (capite perché scrivo favole!) altrimenti morirebbe di fame: più e più volte si è fatto mettere un accesso venoso piuttosto che mangiare. Mi preparo la cena e mangio piazzandolo al cellulare o alla tv, davanti ai quali Lele fa mille storie. Faccio i piatti, gli somministro le medicine, gli metto il pigiama, sempre con lui che si oppone. Poi facciamo una notte per uno a dormire con lui, perché tra il reflusso, gli incubi e le sveglie notturne, non ce la facevo più, dopo anni e anni, a seguirlo anche la notte. Quando la mattina ha la scuola, io lavoro (come se non bastasse), sbrigo le pratiche Asl, vado in farmacia, dal pediatra, organizzo le visite, cerco gli alimenti che può mangiare (si trovano male). Poi c’è da fargli fare il compito, ci sono i pdf, gli incontri istituzionali ecc. E poi voglio farlo ‘vivere’ perciò lo porto fuori, anche se mi scappa da tutte le parti perchè ha paura di ogni cosa: dei rumori, delle bandiere che sventolano, delle api, delle farfalle. Queste fobie peggiorano in maniera esponenziale. Cerco, navigo, chiedo in internet ore e ore per trovare nuove terapie psicomotorie, nuove speranze, nuove illusioni. E questo nei  giorni che sta bene. Quando poi ha il raffreddore, la tosse, qualsiasi piccola cosa, è l’apoteosi. E poi ci sono i consigli non richiesti da coloro che pettinano le bambole: “Non gli inviti nessun bambino a casa…lo fai leggere troppo poco… non gli fai fare gli esercizi di coordinazione oculomotoria…ora gli fai fare un’altra visita? Possibile che tu lo debba portare sempre in un’altra città a farlo visitare? Pincopallino si è trovato benissimo con il pediatra della sua bisnonna, vedessi com’è bello dritto…non gli insegni l’educazione (rutta per via del reflusso e soffre di aerofagia)…non gli dai la frutta (ma non sanno che Lele mangia solo alcuni cibi che conosce da quando era piccolo. E io per questo sono andata in esaurimento nervoso perché, anche se frullato, avrebbe potuto mangiare tante cose, ma lui non le vuole)”.

A questo punto non so cosa faccia più male: chi mi vede che arranco e non mi aiuta? Chi mi dà i super consigli? La malattia di Lele? Non so….A me basterebbe avere le pause sindacali, ed ecco che si ritorna alle Legge per tutelare i Caregiver.

Comunque, quando si fa una diagnosi a un bambino con handicap gravi, i neuropsichiatri dovrebbero riunire tutti coloro che si occupano, o dicono di occuparsi, del bambino. E il neuropsichiatra dovrebbe illustrare la situazione a tutti. Io l’ho visto fare solo una volta da una neuropsichiatra infantile che era in sostituzione di quella di Gabriele. E in quell’incontro (lei che non è la mamma ‘incapace’ o ‘matta’ o ‘sempliciotta’ ma un medico e quindi super partes) ha messo a tacere le ‘osservazioni’ che mi sono sentita fare dai ‘familiari’ che, con insistenza, fino a quel momento mi dicevano: “È la mamma che insegna a parlare ai bambini, non una logopedista (non consideravano la palatoschisi sottomucosa che nemmeno l’intervento chirurgico ha sistemato)”; “È la mamma che insegna al buon cibo (reflusso) e a bere (disfagia)”. Dopo un po’ di mesi hanno ricominciato a darmi i “consigli non richiesti”, perché purtroppo era tornata la ‘sua’ neuropsichiatra (peccato, la sostituta temporanea stava facendo un bel lavoro con Lele) che non ha più convocato i ‘personaggi’ che dovrebbero gravitare intorno al bambino”.

 

 


La Giornata di mamma Barbara

“La giornata tipo di un Caregiver: parola che ho scoperto nel momento in cui non lo ero più! Non mi sono mai sentita tale – dice la Mamma di Rossanaforse perché la mia vita Speciale, la nostra, é durata poco più di un anno: troppo poco tempo addirittura per rendersi conto di avere una figlia malata. La nostra giornata tipo era ‘tipo’ nel senso che cambiava a seconda dell’umore o dello stato di salute della piccola, che variava anche più volte nell’arco della stessa giornata. Il nostro fine é sempre stato costruirle un ‘mondo’ attorno fatto su misura Solo per lei: quindi pochi stimoli esterni improvvisi, poco ‘casino’ se non voluto da Lei e seguendo i suoi orari. Sveglia alle 10, colazione alle 11 dopo le cure ‘estetiche’ e coccolose con Mamy, pranzo verso le 15, la merenda dipendeva e infine la cena verso le 20.30. Tutta la nostra giornata era molto incentrata sul cibo, dal momento che lei ha mangiato da sola fino all’ultimo giorno. Ma con il tempo, il momento del pasto era diventato super impegnativo, sia emozionalmente parlando, che nei gesti pratici! Da quando erano cominciate le sue crisi, dormiva e mangiava e basta: mangiare la sfiniva ma adorava farlo, allora perché toglierle quella gioia? Prima le nostre giornate comprendevano un risveglio lento con mamma, prime medicine, spa femminile mattutina con movimenti per braccia, gambe e visetto, e colazione. Che bello vederla mangiare di gusto. Dopo si aspettava ferme ferme una mezz’ora cantando, e poi era il momento del gioco con attività di vario tipo, e degli esercizi con tante coccole. A seguire il pranzo preparato dal Papy e ‘mangiato’ con Mamy, e dopo pranzo a volte riposino, ma piccolino, e poi altre attività o passeggiate, in terrazzo o appena fuori casa, considerato dove viviamo. Di solito andava con Papà a raccogliemi i fiorellini! Cena dalle 20 in poi e prima delle 23/24 la Signorina non pensava minimamente a dormire. Erano splendide giornate quando tutto era in equilibrio. Ma se era una giornata di pianti, manteneva lo stesso ritmo, ovvero 13/14 ore di fila di pianto”.

 

 


La giornata di mamma Caterina

Mi sveglio sempre un po’ prima di Sofia, di Guido e del resto della casa. Vado apposta a letto presto per riuscirci – dice la  Mamma di Sofia –. La mattina mi ricavo un piccolo tempo solo mio per lavorare, in modo che il resto della giornata appartenga a Sofia (affetta da Leucodistrofia Metacromatica): giocare, preparare le vitamine e le medicine, la pappa, esercitarci con la  fisioterapia. Guido si alza poco dopo di me, mi scopre seduta sul divano col computer sulle ginocchia e Toki acciambellato a fianco. “Buongiorno” mi dice mettendomi una tazzina di caffè nella mano. Sofia si sveglia e dal suo lettino ci chiama. Il verso è quello tenero e un poco inquietante di un piccolo dinosauro. Ci fa sempre ridere. A turno la tiriamo su dal lettino e la prendiamo in collo. Preferisce le braccia calde e comode del papà. Io mi sbrigo a fare il letto, preparare la sacca con la pappa (Sofia ha un sondino naso gastrico), organizzare le siringhe con le medicine e quelle con le vitamine che dovrà prendere nel corso della mattinata. Preparo anche il batuffolo di cotone imbevuto di acido borico per pulirle il viso, lo spazzolino immerso in acqua e bicarbonato per lavare i dentini e la lingua, la spazzola e un elastico colorato per pettinare la mia bambola. Quando è il mio turno di prenderla in braccio comincio il rito del mattino, fatto tutto di coccole e baci. Le carezze sul visino più soffice del mondo, i massaggi intorno alla bocchina di ciliegia e i buffetti sulle guance. “Chi è che nel mondo ti ama di più?” Sofia mugola e significa “te”. La amo, in quel momento preciso di ogni giornata mi rendo conto che la amo più di quanto potrei mai amare un essere umano diverso da lei. E mi sembra perfetta. Con tutte le deformità del suo corpo distrofico e tutte le perfezioni di una bellezza che, comunque, la malattia non è mai riuscita a rubarle.  A metà mattina arrivano le nostre maestre: di ginnastica, oppure di disegno, oppure di gioco o di meditazione o ancora il maestro di piscina (rispettivamente fisioterapista, educatrice, cranio sacralista e Operatore Sociale addetto al bagnetto). Di pomeriggio arrivano i nonni e allora la casa si riempie di favole e musichine di ogni genere. Tutti intorno al Cherubino Sofia per le coccole e le tenerezze! Intorno alle 19 un  pò di esercizi di danza con la mamma, poi a lezione di musica con la chitarra che suoniamo insieme. Ma la sera appartiene al Papà. È solo tra le sue braccia robuste e calde che Sofia accetta di rilassarsi e si prepara alla nanna. “Buonanotte carillon, angioletti e farfalline Rosa e gialle che animate le pareti intorno al mio lettino. Mi preparo per sognare un mondo dove anche io possa correre e giocare acchiappandovi e guardandovi volare”.

 

 


La giornata di mamma Mina

“Quello che mi manca tanto col mio Natale (affetto da Leucodistrofia Metacromatica) è la cosiddetta normalità di cui a volte le mamme di bimbi sani si lamentano. Desideravo aiutarlo con i compiti scolastici, portarlo al cinema a vedere cartoni animati, accompagnarlo a scuola, a calcio o comprargli semplicemente un gelato. Proprio per questo motivo – spiega la Mamma di Natale – ho lottato e lotto tanto affinché almeno nella nostra vita ci fossero delle routine che scandissero il tempo. Io mi sveglio abbastanza presto, alle 6 circa per preparargli i primi farmaci nelle siringhe e posturarlo nuovamente per prevenire le piaghe da decubito. Poi preparo la lavatrice con i suoi panni e mi dirigo in cucina per un bicchiere di latte che sorseggio in attesa della tata che ci aiuta. La Patti arriva alle 8.30, gli fa il bagno in attesa della fisioterapista che arriva verso le 9. La fisio dura circa un’oretta, e appena lei finisce Natale è talmente cotto che fa un altro sonnellino che gli permette di recuperare le forze per continuare, un’ora dopo, il bagnetto a letto. Durante la settimana ci sono comunque due giorni in cui lo mettiamo sulla comoda e lo portiamo sotto la doccia per lavarlo meglio, e devo dire che lui gradisce tanto questo modo di lavarlo. Dopo averlo lavato, vestito e profumato lo mettiamo a sedere qualche ora in carrozzina: in questo modo infatti è più facile fare attività con la sua educatrice che arriva alle 13.30. Rimane con Naty un paio d’ore, e di solito lei è molto attenta, e cerca di fargli fare attività che lo rilassano senza stancarlo, soprattutto se sta vivendo giornate particolari per via delle crisi. Dopo che l’educatrice è andata via, si guarda un pò di tv insieme tra bacini e  coccole varie. Alle 16.30 lo riportiamo in cameretta e lo rimettiamo nel suo lettino col sollevatore. La tata gli rifà il bagnetto, gli mette il pigiamino e suddivide i farmaci per le terapie che gli somministrerò nelle ore successive. Come di consueto, verso fine serata gli leggo sempre una favola per accompagnarlo dolcemente nelle braccia di Morfeo. Questa è la nostra giornata tipo, che cambia sicuramente in base alle sue esigenze, ma che almeno gli dà consapevolezza di sé quando la malattia lo permette”.

 

 


La giornata di mamma Cinzia

“La nostra giornata tipo – spiega la Mamma di Leo e Letizia (neurodegenerativa ignota) dipende da come passiamo la nottata, e Leo di solito non dorme. La mattina s’inizia con la colazione di medicine per tutti e due, e dopo per Letizia (nella foto) si avvicina il momento felicissimo, e lei diventa subito sorridente, appena la portiamo in cucina per essere preparata dalla tata per andare a scuola, ovviamente quando sta bene. Parte con il pulmino alle 10 per tornare alle 12, ed è felice di andarci perché è il suo momento di socializzazione con i coetanei. Quando torna è felice e affamata, e dopo le sue medicine è il momento in cui Letizia chiede di sdraiarsi: per lei è faticoso anche se piacevole e gratificante. Nonostante i suoi problemi è una ragazzina felice che adora essere al centro dell’attenzione. Nel pomeriggio si sveglia verso le 16 con il solito pensiero fisso di mangiare, infatti ha la merenda pronta: adora i frutti e i dolci in genere. Il giovedì non va a riposare e la porto alle 15.30 alla Kepos cooperativa sociale, che ha organizzato un laboratorio di musica, momento molto bello con ragazzi speciali. Ritorniamo a casa alle ore 18 e c’è il tempo di preparare la cena. Infine alle 21 siamo pronte per andare a letto felici come sempre. Quello che vi ho raccontato di Letizia è la descrizione del periodo in cui lei sta bene, non ha catarri e riesce ad avere una vita abbastanza serena. Ma abbiamo sempre il Mostro in agguato, e nel momento in cui prende anche un raffreddore tutto cambia improvvisamente. Lei infatti fa uso di ossigeno fisso da circa un anno, perché i suoi polmoni non si espandono a causa di un peggioramento della sua condizione fisica, essendo di base  una malattia muscolare. Quando prende il raffreddore dobbiamo iniziare a usare la Niv, che odia perché è molto invasiva. L’anno scorso, quando ha iniziato a usarla, perdeva i capelli a chiazze dallo stress e la paura. Purtroppo il fatto di essere molto cosciente di quello che le succede è controproducente, perché per la paura si rifiuta di tossire, trattiene la tosse per  non essere aspirata, e così inizia il calvario di aereosol, Niv, manovra per farla tossire, aumento dell’ossigeno. La soluzione di questi momenti, con l’antibiotico e cortisone, ha due vie: o piano piano si sblocca, oppure s’indebolisce fisicamente ancor di più e si finisce in ospedale. Vi confesso che quando ha i suoi periodi buoni la lascio gestire molto dalle tate, così approfitto e mi prendo i miei momenti liberi per staccare.”

“Faccio scorta di ore libere come se da un momento all’altro mi tornasse a mancare anche il tempo di fare una doccia o mangiare un piatto caldo  seduta. A volte manca perfino il tempo di vestirsi, perché la camerina diventa un pronto soccorso con tutti gli ausili pronti per le emergenze, per evitare l’ospedalizzazione”.

 

“La giornata di Leonardo (nella foto) invece è un’incognita: la notte non dorme quasi mai, e chiaramente da sveglio lui tossisce di continuo e deve essere aspirato. Dorme in camera con me e faccio pisolini di 10/15 minuti, altrimenti si addensano i catarri e non riesce più a liberarsi – spiega la Mamma di Leo e Letizia -. Ha già fatto 3 cicli di antibiotici mirati ed è sempre pieno, e anche lui è da una settimana con l’ossigeno, altrimenti desatura. La mattina viene alzato, posizionato sulla sua seduta posturale e poi fa colazione attraverso la sonda Peg. Se riesce ad addormentarsi è perfetto, almeno recupera, altrimenti è capace di rimanere sveglio per giorni, cosa che nessun medico è ancora riuscito a spiegarsi. Non riusciamo a capire come faccia: quando rimane sveglio per due giorni o tre si trasforma, sembra inebetito e non reagisce allo stimolo della tosse, si lamenta, rischia il ricovero perché se si intasa di secrezioni, s’indebolisce dalla troppa stanchezza, e allora desatura, si raffredda, la sua temperatura corporea va a 33/34° e i battiti di conseguenza calano a 40/44 da sveglio. Questi sono i suoi momenti critici, e solo se riesce ad addormentarsi e dunque a riprendere calore e forza, evitiamo il ricovero. La sua giornata la passa in cucina con noi. Io e la tata puliamo casa, prepariamo il pranzo per Letizia, e a lui viene fatta la sequenza di cicli di aereosol e pep . Non l’ho mai mandato a scuola per questi motivi, sarebbero stati altri a gestire queste situazioni, e non è giusto per lui e nemmeno per gli altri. Per questo motivo è un n ragazzino molto chiuso in se stesso, ha poca voglia  di interagire con gli altri, perché anche lui a mio parere si rende conto che ha necessità di manovre invasive e di qualcuno fisso che lo aiuti a liberarsi dai catarri. Del resto non gli interessa molto, solo nei periodi in cui ha meno catarri e sta meglio, gli piace che gli leggiamo  qualcosa, che gli facciamo ascoltare la musica. Ma per lui ultimamente sono momenti rari. Il pomeriggio, dopo pranzo, è il momento delle coccole con me sul divano: lui si sdraia e io lo massaggio. Poi all’ora di merenda torna nella sua seduta in cucina, e lui resta lì a vedere i movimenti per la cena intorno a lui e a Letizia. L’ora della messa a letto per me è un’inquietante incognita: vorrei farlo rilassare, farlo dormire, ma non so come aiutarlo. Certo, non con le medicine che già ne prende a iosa. Io sono un’infermiera senza pausa nè diurna nè notturna, e i miei momenti liberi sono quelli che nessuno vorrebbe avere, quando i miei ragazzi vanno dal babbo (siamo divorziati da 9 anni) ogni due week and, con tutto il necessario e tate al seguito super addestrate. Già la partenza da casa è un trasloco che mi distrugge, ma la ricompensa è che finalmente dormo. Il distacco da loro è una necessità. E per fortuna adesso, da qualche anno, il loro babbo si è organizzato per resistere un paio di notti e di giorni a gestire al meglio i suoi figli”.

 

 


La giornata di mamma Donatella

“Nonostante il progredire della malattia, Benedetta si trova in una fase che le consente ancora, quando sta bene, di andare a scuola e partecipare, nel suo modo speciale, all’allegra baraonda dei suoi coetanei. La sua cura – spiega la Mamma di Benedetta – è quindi frutto condiviso del lavoro di una piccola comunità amorevole e premurosa composta da genitori, nonni, maestre, educatrice, assistente alla mensa, neuropsicomotricista e logopedista. La giornata di Benedetta (affetta da degenerativa ignota), se la notte è trascorsa tranquilla, inizia alle 8, quando papà, mamma e fratellino sono già svegli. Papà si alza per primo e, prima di andare al lavoro, prepara per tutti la colazione e il corredino di medicine, vitamine e fermenti lattici che Benedetta prende la mattina. La sveglia di Benedetta tocca alla mamma: dalla risposta, sorridente oppure affaticata che si legge sul suo visino al “Bonjour, Bonjour!”che canticchio, si può già indovinare l’umore della giornata. Procedo col cambio del pannolino, la vesto, le lavo il nasino con fisiologica, il visetto, e tento di sgrovigliare e pettinare con una treccina la criniera da leonessa, il tutto accompagnato da canzoncine, coccole e bacini. A seguire la colazione, che viene data alla Principessa dai nonni o dalla mamma. Poi con la mamma ci si prepara per andare o direttamente a scuola oppure, due volte a settimana, a fare prima un’oretta di terapia all’Asl con la neuropsicomotricista o la logopedista. La mamma, da settembre, dopo quattro anni, sta cercando di ritagliarsi, durante il tempo che Benedetta passa a scuola, un provvisorio rientro al lavoro part time. Con tutte le difficoltà e la fatica del caso, perché la piccola, specie in inverno, spesso non è così in forma da poterci andare. Quando, nel pomeriggio verso le 16, la mamma va a riprendere la Principessa, le maestre le fanno un resoconto dettagliato, attento e scrupoloso della giornata, riferendo con amorevole precisione, oltre alle attività svolte, i sonnellini fatti, le eventuali crisi epilettiche avute nel corso della nanna, l’andamento degli spuntini e del pranzo. Il papà dice sempre che ne hanno cura come di un cristallo raro e prezioso. Dalle 16 all’ora di cena, dopo il momento dei bisognini, che richiedono un clisterino e un po’ di ginnastica  che Benedetta fa con la mamma, prima i nonni, poi papà, che intanto è rientrato dal lavoro, giocano con lei, talvolta insieme alla preziosa partecipazione del fratellino. È il papà che fa mangiare Benedetta a cena, mentre, dopo un altro momento di gioco e il lavaggio dei dentini, è la mamma che si occupa della nanna: favola, canzoncina e preghierine insieme al fratellino. Se Benedetta è agitata e non riesce a dormire subito però interviene il papà, che di solito tenta la carta delle coccole stretti stretti sul lettone. A volte con successo, altre meno”.

 

 

 


La giornata di mamma Luisa

La nostra giornata tipo non è facile da raccontare –  spiega la Mamma di Federica  -. La malattia di Fede (affetta da Leucodistrofia) è degenerativa e quindi non è mai la stessa. All’inizio le notti e i giorni sembravano non finissero mai, le sue urla erano terribili, aveva dolore, non mangiava più come prima. Noi l’avevamo sempre in braccio, perché aveva paura di cadere e camminava solo sul pavimento, dove lei si sentiva sicura. Cercavamo di inventarci tante strategie per farla mangiare un po’, e ci andava bene se, su tre pasti, ne teneva uno, perché vomitava in continuazione. Le crisi e le clonie sono arrivate subito, e più perdeva la capacità del suo corpo più si accentuava l’ipertono. Io facevo tutto con lei in braccio, in casa e fuori, e oggi che Fede non riesce più a comunicare come prima, e la sua voce non urla più, riesco a capire il suo dolore dal colore della pelle e dal suo odore. Se la notte è andata male, quasi sempre la giro ogni ora in una diversa posizione. La giornata inizia alle 7 con i farmaci, che son tanti. Alle 8 arriva l’aiuto infermiere e facciamo bagnetto. Poi mentre lui e lei finisce le medicazione, io le sistemo il letto e pulisco un po’ i macchinari, metto sul fuoco i passati di verdura o legumi, per il resto compro omogeneizzati. Ho un altro figlio di 24 anni e devo anche pensare a fargli la merenda quando lavora. E poi c’è da pulire casa, stendere panni. Ogni giorno c’è da far prescrivere medicinali, sbrigare qualche pratica all’Asl, sono tanti gli enti che si occupano della situazione di Fede. Io sono ovviamente sempre di corsa per la spesa, e mentre l’infermiere mi guarda Fede mentre io faccio tutto questo, fino alle 13,30. Il pomeriggio la metto sulla sua sedia così la tengo più vicino, devo essere sempre pronta ad aspirarla. Le cose, che per gli altri cosiddetti bambini normali, le mamme riescono a fare in minor tempo, per me sono molto più faticose. Alla fine a casa non si riesce a invitare più nessuno, e anche quelle persone che venivano senza invito, ora iniziano a venirci a trovare sempre più di rado. Per noi non c’è festività di nessun tipo. Tutto si svolge a seconda di come sta Fede. Sappiamo benissimo che la nostra vita quotidiana è tutto un susseguirsi di ricoveri, di febbri e di tante persone estranee per casa: mi riferisco a medici, infermieri, tecnici, fisioterapisti. Questa è forse la cosa che mi da un enorme fastidio, addirittura più della stanchezza. Perchè mi fa sentire un’estranea a casa mia”.

 

 


La giornata di mamma Irene

“E che dire di noi? – dice la Mamma di Matilde -. Io mi sento mamma prima di tutto, ma anche infermiera, badante e amica di Matilde (affetta da variante sindrome di Rett). Al mattino, quando si sveglia, stacchiamo e spegniamo la Niv (Non Invasive Ventilation), subito dopo, ancora sul lettone, facciamo fisioterapia con la Pepmask, 5 volte per 2 minuti, guardando video musicali, altrimenti Matilde assolutamente non se li fa fare. Una volta finito con la macchina della tosse, si passa alla medicazione Peg e all’imbottitura sotto l’ascella sinistra, perché  il busto le fa venire escoriazioni. Finito anche questo, la vesto e infiliamo il fatidico busto di plastica, e subito la porto a fare pipì che lei trattiene per tutta notte. Poi la lavo e mi occupo dell’igiene orale. Una volta seduta passo alla somministrazione di una parte di acqua prevista nell’arco della giornata e spremuta d arancio dopo il protettore gastrico, Didrogyl e 2 volte a settimana acido folico. Se sono fortunata, nel frattempo, il nonno prezioso  mi porta il caffè  in camera. Da seduta finisco di metterle le scarpe, poi di peso la sposto alla carrozzina e lei si aiuta un pochino in piedi. Da questo momento, all’incirca alle 10, arriva la professoressa e lei finalmente riesce a divertirsi e a distrarsi un po’ con i lavoretti, e a me resta qualche ora per fare telefonate di lavoro o commissioni, perché  intanto ho cambiato il sacco deĺ latte nutritivo e incaricato la professoressa di accenderlo  verso le 11. Finita scuola, verso 12,30, nel frattempo cerco di pranzare, ripassiamo in camera da letto per rifare pipì  prima del riposino pomeridiano e la terapia antiepilettica. Se va bene dorme due ore e poi si ricomincia con Peg e la macchina tosse. Poi finalmente la metto in piedi nel suo ausilio per camminare, giochiamo un po’, le somministro altra acqua, alle 16 arriva l’operatore socio sanitario che mi aiuta, e se riesco mi dedico un corso di ginnastica per svago, mentre Mati gioca con lei fino alle 19,30 circa. Prima che se ne vada io cerco di cenare senza farmi vedere da Mati, perché il  ricordo di quando  mangiava mi mette soggezione e mi procura dolore. Si passa al terzo tentativo di pipì, la prendo di peso e la rimetto in comoda. La sera si rigioca mentre cerco di guardare un pò di tv, poi si ripassa alla preparazione notturna: pipì, pigiama, cambio del sacco del latte per la nutrizione notturna, somministrazione di farmaci antiepilettici. Infine ci buttiamo sul lettone dove si legge un libro, si gioca un po’, poi inizio con la preparazione soffusa delle luci che dovrebbero fare da cornice al nostro addormentamento, che non avviene  molto facilmente, per via delle mioclonie. Io non posso permettermi di addormentarmi, perché  devo infilarle la Niv dopo che lei dorme, accendo e cambio l’acqua della campana dell’umidificatore e saturimetro. Se poi tutto va bene per rilassarmi scrivo sulla chat Voa Voa e su Facebook,  mi prendo qualche goccia  di Xanax sperando di riuscire a dormire tutta la notte, se non s’inceppa la macchina del latte, o se non devo coprire Matilde se si scopre o se non cerca di togliersi la Niv. Insomma una vita da urlo!”.

 

 

“Nel leggervi mi rivedo dice la Mamma di Aurora (degenerativa ignota) e sto piangendo”.

 

 

Grazie a tutti per l’attenzione!

La Redazione di “Finestra su Casa Voa Voa” ringrazia le Mamme e i Papà, membri della chat, per la preziosa collaborazione.

Barbara 

Caterina

Giacomo

Guido 

Maurizio

 

Voa Voa!