La transizione dall’età pediatrica a quella adulta è un momento cruciale nella vita di un “bambino complesso” e per la sua famiglia. In questo articolo affrontiamo il dramma della continuità assitenziale nella testimonianza di tre mamme socie di Voa Voa i cui figli, seguiti per anni dall’ospedale pediatrico, si sono ritrovanti maggiorenni gravemente invalidi sconosciuti alla rete assitenziale dell’adulto.
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Un’associazione è fatta di tante voci, tanti volti, ma di un solo cuore. Voa Voa! Amici di Sofia non è diversa. Le tessere che compongono il nostro piccolo prezioso puzzle di esperienze umane sono quelle di genitori che, nel silenzio delle loro vite quotidiane, portano avanti incredibili battaglie per il diritto alla migliore qualità possibile dei loro figli malati rari. Tre di loro sono amiche, si conoscono da anni, i loro figli hanno tutti più o meno la stessa età. Cinzia, Ilaria e Valentina, tre madri residenti nel territorio di Prato (in Toscana) che recentemente si sono trovate ad affrontare la delicata questione della continuità assistenziale nella transizione dall’età pediatrica ai diciotto anni. A Voa Voa ciascuna di loro ha raccontato la propria esperienza, per denunciare una condizione che le ha accomunate e che, così temono, accomunerà ancora molti altri genitori in futuro, se le cose non si decidono a cambiare.
Cinzia ha due ragazzi senza diagnosi – Letizia di quasi 23 anni e Leonardo di 21 – completamente dipendenti dall’assistenza di un caregiver h24. Quando rimase incinta del suo secondo figlio i genetisti le dissero che un caso raro come Letizia non era ripetibile, tanto più se si trattava di un figlio di sesso diverso, e che quindi poteva portare avanti la gravidanza tranquillamente. Invece Leonardo è un malato raro anche più critico della sorella, ma questa è un’altra storia.
Fin dalle prime indagini, Letizia -che al tempo aveva solo 9 mesi- è stata presa in carico dall’Ospedale pediatrico del nostro territorio.
“Noi siamo di Prato -spiega Cinzia- ma ad eccezione del neurologo abbiamo sempre fatto riferimento alla Clinica del bambino complesso di Firenze per tutte le altre specializzazioni necessarie al follow up dei miei figli, che sono malati multi sistemici. Questo, fino alla maggiore età, ha consentito a Leo e Lety di eseguire tutte le visite e gli esami di controllo in un unico day hospital, limitando a loro lo stress di doversi recare a più riprese all’ospedale o nei vari ambulatori e a me la preoccupazione di dover organizzare diversi spostamenti per due ragazzi che, a causa delle problematiche respiratorie, sono dipendenti dall’ossigeno per respirare”.
Subito dopo il compimento della maggiore età però, l’ospedale pediatrico ha dismesso la propria presa in carico lasciando mamma Cinzia improvvisamente sola e priva di una qualsivoglia assistenza.
“Non ho avuto alcuna indicazione. Al compimento dei sedici anni gli specialisti dell’ospedale pediatrico hanno iniziato a prepararci al fatto che avremmo dovuto essere presi in carico altrove e che sarebbero stati loro ad occuparsi di tutto. Invece il passaggio è stato traumatico. Dall’oggi al domani ci siamo ritrovati abbandonati a noi stessi senza alcuna continuità assistenziale. Ci era stato promesso che sarebbero stati presi contatti con il nuovo reparto per eseguire una transizione soft, tenendo conto dell’evoluzione dei ragazzi e della loro attuale condizione. Invece, l’unico passaggio che è stato realmente eseguito è stato quello con il reparto nutrizionale per le consegne relative all’alimentazione assistita di Leonardo (visto che lui ha la peg), e parzialmente per quella di Letizia. Il resto non è stato fatto. Non siamo stati presentati allo pneumologo -benché entrambi i miei figli abbiano situazioni respiratorie complicate e necessitino di ossigeno (Letizia ha anche il ventilatore fisso mentre fa ginnastica). A parlarmi di bravi specialisti cui fare riferimento sul territorio di Prato sono stati dei genitori come me. Alla fine, con le mie sole forze, piano piano sono riuscita a ricostruire intorno ai miei figli una rete di specialisti validi che li seguono adeguatamente, ma la possibilità di eseguire regolari follow up in un unico day hospital non esiste più. Sono io che devo contattare personalmente ciascuno specialista, dal neurologo allo pneumologo, dal gastroenterologo all’endocrinologo, dato che entrambi i miei figli hanno disfunzioni tiroidee. Oltre ad essere un caregiver a tempo pieno di due ragazzi disabili al cento per cento devo pure coordinare gli specialisti e sono priva di punti di riferimento. In una settimana capita che sia costretta a fissare 10 appuntamenti. Siccome non posso stressarli andando continuamente in giro con loro, molte visite ho dovuto pagarle a spese mie, per non farli ammalare di altre cose”.
Ilaria ha una figlia di 22 anni, Martina. Intelligente, solare, determinata, ma completamente dipendente dalle cura della madre per colpa di una Paralisi Cerebrale severa.
“Dal momento in cui esci dall’Ospedale pediatrico non ti segue più nessuno, e neanche ti viene indicata la strada che dovrai seguire. Dall’oggi al domani sei fuori. Ed e Martina siamo state mandate via, anche se lei è portatrice di peg e ha alle spalle un passato tribolato di complicazioni posturali abbastanza gravi da averla condotta ad un intervento molto invasivo alla spina dorsale. Chiesi alla Clinica del Bambino Complesso dell’ospedale pediatrico che conosceva Martina dalla nascita, “Dove devo andare? Mi occorre un neurologo perché Martina soffre di epilessia”. Mi è stato risposto che dovevo provvedere da sola. Così ho pagato un neurologo privato. Per quanto riguarda l’assistenza alla nutrizione via peg, feci domanda al reparto dell’Ospedale per adulti di Firenze, che la presa in carico, ma successivamente mi sono spostata a Prato, dove risiedo, per questioni di praticità. Attualmente, con il tempo e la pazienza, sono riuscita a costruire intorno a Martina una rete di assistenza efficace, ma facendo tutto per conto mio. Dopo la pandemia sono riuscita a mettere insieme un bravo pneumologo, un ottimo nutrizionista e, su suggerimento dell’infermiera della neurologia di Martina, ho fatto accettare mia figlia nella neurologia di Prato, di modo che ogni sei mesi la porto al follow up.
Lo pneumologo è un angelo, a volte viene anche a casa. Il nutrizionista ha aperto un progetto apposta per lei, altrimenti Prato non avrebbe potuto seguirla a casa. I day hospital, come dice Cinzia, non esistono più, come non esistono per qualsiasi paziente adulto. Ma quello che è davvero inaccettabile è la dimissione, coatta e priva di qualsivoglia indicazione, che l’Ospedale pediatrico esercita da un momento all’altro quando ragazzi che segue da molti anni diventano maggiorenni, vanificando così una reale continuità assistenziale”.
Infine Aurora. 19 anni, il viso di un angelo, il sorriso di una che, se non fosse stata affetta da una rara forma di sindrome di Rett, avrebbe certamente manifestato un carattere sbarazzino.
Mamma Valentina, come pure Cinzia e Ilaria, è battagliera e determinata, tanto che per ottenere una diagnosi per sua figlia -che pareva non averne- ha continuato a cercare risposte fino a che, tre anni fa, le ha ottenute proprio dai genetisti dell’Ospedale pediatrico di Firenze.
“Mi aspettavo che, considerato il fatto che la diagnosi di Rett era stata tardiva e che era arrivata proprio dall’ospedale dove Aurora era seguita da sempre, al compimento dei 18 anni non ci avrebbero mandato via subito. Invece è stata dimessa addirittura un mese prima del compleanno. Chiesi la continuità assienziale, allora mi garantirono che avrebbero compilato le apposite griglie previste dalla Regione Toscana per inserirla nel mondo ospedaliero degli adulti. Invece, quando mi sono presentata al nuovo Ospedale, non la conosceva nessuno. Ho scritto di mio pugno alla cardiologia perché venisse presa in carico. Non esistono canali privilegiati per malati complessi come Aurora, Martina, Letizia e Leonardo, e questo è sconvolgente, data la gravità della loro situazione.
Ad Aurora pago tutto privatamente, usando la sua pensione di invalidità, perché per l’assistenza pubblica lei è diventata una persona normale, che deve fare riferimento a liste di attesa interminabili, come purtroppo capita alle persone normotipiche. Questo vale anche per aspetti prioritari della sua salute, perché se aspettassi ogni volta i tempi del Cup avrei visite fissate al 2023 o addirittura al 2024. Non esiste follow up. Siamo passati da un ambulatorio pediatrico dedicato al bambino clinicamente complesso -con follow up ogni 3/6 mesi- al niente assoluto.
Sono un’infermiera, una dipendente pubblica. Ho scritto all’Urp per denunciare il fatto che mi vergogno di un servizio sanitario così. Da parte mia non mi sono mai risparmiata, per mia scelta faccio la turnista, benché sia una mamma caregiver, perché se facessi la giornaliera sarebbe ancora più difficoltoso sostituire la mia assenza. La mia protesta ha sbloccato subito la situazione e sono stata contattata per la programmazione dell’EEG. Ma cosa devono aspettarsi genitori che non lavorano all’interno di un ospedale?”
È sicuramente questa la preoccupazione più grande condivisa dai tre cuori delle nostre mamme speciali: che altri genitori non si trovino in futuro a vivere la drammatica condizione che hanno vissuto loro. L’appello di Voa Voa va alle Istituzioni toscane, come sempre, perché si interessino ai malati rari ma anche alle loro famiglie, implementando la continuità assistenziale della transizione pediatrico-adulto, un tema di vitale importanza per la salute dei pazienti e per la salvaguardia dei loro caregiver da situazioni di stress ancora maggiore rispetto alla già complicata quotidianità.
PER APPROFONDIMENTI:
“La transizione degli adolescenti clinicamente complessi alle cure dell’adulto”
Articolo di: Moira Borgioli, (UOC Progettazione, Sviluppo, Formazione e Ricerca, AUSL Toscana Nord Ovest)
Alessandro Monaci, (UOC Pediatria e Neonatologia di Grosseto, AUSL Toscana Sud Est)
bambino complesso continuità assistenziale
Caterina Ceccuti e Guido De Barros