A casa Voa Voa, continuiamo a raccontare storie magiche di famiglie coraggiose. Questa è la testimonianza di Massimo, babbo di Mattia, un bambino dal sorriso speciale al centro di una famiglia numerosa e di una drammatica battaglia per la vita.
Otto sotto un tetto. Vi ricordate la fortunata serie anni Ottanta che raccontava le avventure quotidiane di una famiglia numerosa americana? Ebbene, anche in Casa Voa Voa ce n’è una che possiede gli stessi numeri. È quella del nostro piccolo Mattia, composta da Papà, Mamma, i piccoli Federica, Noemi, Thomas, Nicol, Syria e lui, Mattia, una bambino tutto sorrisi e gioia di vivere che però, sfortunatamente, è affetto da una brutta patologia neuro degenerativa non diagnosticata. “La malattia lo sta consumando – papà Massimo non usa mezzi termini -. E quando si parla di condizioni gravissime come quella di Mattia non esistono neanche cure possibili. Allora il senso di frustrazione di un genitore diventa quasi insopportabile. Vorresti solo continuare a vedere il sorriso sul volto di tuo figlio, ma piano piano ti rendi conto che per lui diventa sempre più difficile trovare la forza e la volontà per farlo”. Eppure Mattia, come d’altronde anche gli altri piccoli guerrieri che attraverso Voa Voa abbiamo avuto il privilegio di conoscere, non si è ancora arreso e, grazie all’amore dei suoi genitori e dei fratelli continua a combattere la sua battaglia.
Parlando con Massimo abbiamo scoperto cosa significhi per una famiglia così numerosa prendersi cura di un bambino disabile al cento per cento, e quale sia l’atmosfera che si respira in una casa in cui la gioia e la spensieratezza dell’infanzia devono obbligatoriamente fare i conti con le problematiche legate ad una patologia multi sistemica tanto grave. Paure, speranze, soprattutto emozioni forti, a volte troppo forti, che Massimo descrive come un nodo sempre più stretto che gli stringe la gola.
Secondogenito, Mattia ha oggi 9 anni e vive con la sua famiglia a Fiesole, vicinissimo al capoluogo toscano.
Massimo, quando vi siete accorti che qualcosa in Mattia non andava?
“Al terzo mese di vita. Il bambino non stava bene, aveva forti conati di vomito e diarrea continua. Decidemmo di portarlo al pronto soccorso, anche perché avevamo notato un’altra cosa strana: quando Mattia si innervosiva irrigidiva mani e piedi. E fu proprio questo ad insospettire i medici dell’ospedale, che decisero di fare accertamenti di tipo neurologico. Sfortunatamente, la risonanza magnetica confermò una malformazione corticale complessa”.
Cosa ha significato questo nella crescita del bambino?
“Ha significato crisi epilettiche, impossibilità per alcuni organi di formarsi correttamente – come nel caso del suo polmone destro-, scoliosi grave, tetraparesi spastica. Mattia è anche affetto dalla sindrome di Scimitarra (che comporta alcune anomalie cardiopolmonari) ed ha dovuto subire un importante intervento per la rotazione dello stomaco, che era posizionato completamente al contrario. Come potete immaginare, questo per lui si è tradotto in molta sofferenza, eppure non ha mai perso il sorriso…almeno nei primi sette anni di vita. Recentemente è sicuramente meno reattivo e in generale più triste. Credo sia perché è stanco di dover combattere così tanto”.
Com’è il rapporto di Mattia con i suoi cinque fratelli?
“Favoloso. Tutti loro, anche i più piccoli, sembrano capire perfettamente la sua situazione e sono a loro agio con lui. Mattia, dal canto suo, se si sente benino e riesce a trascorrere una giornata tranquilla, partecipa ai giochi e si lascia coinvolgere dai fratellini. Risponde alle loro chiacchiere con uno dei suoi bellissimi sorrisi, guardano i cartoni insieme, si capisce che ha tanta voglia di giocare. Negli ultimi due anni però le crisi epilettiche sono molto aumentate, piange più spesso e -forse per colpa dei farmaci che siamo stati costretti ad aumentare – vuole solo dormire”.
Come funziona la gestione quotidiana di una famiglia così numerosa?
“Io e mia moglie non abbiamo aiuti. Lei sta a casa con i bambini, io lavoro come responsabile della pulizia dei treni. Appena rientro però la aiuto, soprattutto accudendo Mattia. Sono io, per esempio, che mi occupo di tutta la parte burocratico-sanitara che lo riguarda. Devo dire comunque che i fratelli sono bravi e, nonostante la loro età, cercano di dare una mano. Federica, la più grande, ha voluto imparare come si attacca Mattia al nutrimento via Peg e come si pulisce il punto di entrata della stomia. Ha solo 12 anni ma è già responsabile. I fratellini minori dimostrano tutti grande sensibilità nei confronti del fratello malato. Capiscono che si trova in condizioni particolari, diverse, e cercano di aiutare in casa. Ovviamente, restano bambini e non si deve pretendere troppo da loro”.
In famiglia riuscite comunque a fare tutto?
“In qualche modo sì, con le dovute limitazioni e rinunce però. Tutte le estati, per esempio, riesco a portare qualche giorno i bambini al mare, e durante l’anno alcuni di loro praticano sport, secondo i rispettivi desideri. Tranne Mattia, purtroppo. Lui ha sempre adorato l’acqua e volevo portarlo in piscina a fare corsi di acquaticità con un insegnante di sostegno, ma non ci sono mai riuscito perché il Territorio non ha mai acconsentito allo sport in piscina, neanche in un contesto privato (nessuno sarebbe disposto a prendersi la responsabilità di un disabile gravissimo in età pediatrica, senza una prescrizione da parte del Territorio). Se penso a quanto Mattia abbia sempre adorato l’acqua, la frustrazione si fa ancora più forte. Ricordo che quando sono riuscito a portarlo in mare era collaborativo, muoveva le manine e le gambine. Adesso, comunque, è troppo tardi e non ce la farebbe più, le sue competenze motorie infatti, sono molto peggiorate negli anni e oltre alle capacità residue, oggi non avrebbe più lo stesso giovamento di anni fa.”[1].
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Come padre, cosa ti fa soffrire di più quando guardi alla tua grande, bellissima famiglia?
“Vedere Mattia soffrire, inerme dinanzi a una vita cui non può mai prendere parte attiva. Allora mi tengo la testa tra le mani e mi chiedo “Cosa posso fare per mio figlio?” La risposta è sempre e soltanto una: niente. Almeno, niente che possa farlo alzare dalla sedia a rotelle su cui è costretto, o che gli permetta di parlare, giocare, cantare una canzoncina con i suoi fratelli. E soffro per lui, per me, per tutti noi. A volte mi aspetterei più aiuto e maggiore comprensione da parte dei medici che lo hanno in cura. Invece la maggior parte di loro pensa che con bambini come Mattia non ci sia più nulla da fare, che siano casi disperati e persi, dunque si limitano a fare il minimo indispensabile, abbandonando la famiglia a se stessa. A volte, se mi arrabbio e scateno un caos, allora qualcosa si muove. Ma non dovrebbe essere così: alla fine, io sto solo chiedendo il bene di mio figlio, che sia accudito come si deve e con lo stesso impegno che si riserva ai bambini che hanno la fortuna di avere una cura e poter aspirare alla guarigione. Non chiedo molto, eppure la pubblica sanità non mi ascolta”.
Adesso, Massimo, ti va di raccontarci cosa invece ti fa felice guardando la tua famiglia?
“Il fatto che siamo tutti quanti innamorati di Mattia, e anche che i suoi fratelli non siano mai gelosi, benché io dedichi più attenzioni a lui”.
La gravità di Mattia ha portato spesso i medici a paventare l’ipotesi che presto o tardi vi lascerà. Come pensi reagiranno i suoi fratelli?
“Sarà una botta terribile, assurda, illogica. Con la mia sofferenza di padre sono abituato a convivere. Io e mia moglie abbiamo sempre saputo quale sarebbe stato il destino di Mattia, ma i bambini non sospettano neppure che un giorno dovranno separarsi da lui. Solo la mia figlia più grande, ormai, se ne rende conto. Da due anni a questa parte le condizioni di Mattia stanno precipitando, non possiamo più negarlo. Ma anche conoscendo bene la realtà dei fatti e ritrovandoci tutti i giorni sbattuti in faccia i suoi peggioramenti, non ci sentiremo mai pronti”.
Te la sentiresti di mandare un messaggio al Territorio da cui, comunque, vi siete sentiti abbandonati?
“Eccome, gliene ho già mandati moltissimi sotto forma di mail, chiamate ecc. Ma non sono mai stato ascoltato. Quello che voglio dire a chi di dovere è che si porterà sulla coscienza il deterioramento fisico di Mattia. Perché, sapendo che gli avrebbe fatto bene e che lo avrebbe reso felice, non ha comunque voluto concedergli la possibilità di fare acquaticità in piscina o una più confortevole fisioterapia a domicilio. Quel poco che ci è stato fornito, ce lo siamo dovuti sudare. La verità è che non è esistita una presa in carico efficiente, che abbia saputo garantire il benessere del mio bambino”.
Testi: Caterina Ceccuti
Editing: Guido De Barros
[1] L’Associazione Voa Voa Amici di Sofia aps ha accompagnato la battaglia di Massimo per l’ottenimento della prescrizione dell’acquaticità in piscina. Purtroppo il Territorio che ha in carico Mattia ha respinto a più riprese le nostre richieste, e l’arrivo del Covid ha bloccato ulteriori possibilità di azione da parte nostra.